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Papa Francesco e la sua Chiesa globale, connessa con tutti i conflitti del mondo

Il papa nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera non sposa una parte, come fa Kirill che nega l’invasione, non fa sconti a nessuno, tranne che agli ucraini, per i quali dimostra la necessaria comprensione, mentre molti chiedono loro solo di arrendersi. Andare prima a Kiev vorrebbe dire acuire il solco, andare prima a Mosca vuol dire cercare una via d’uscita per gli ucraini innanzitutto, ma anche per i russi, per tutti i russi

L’intervista di Francesco ha messo in imbarazzo i siti russi. E non colgono, guarda caso, che balza agli occhi un fatto affermato da Francesco nell’intervista concessa al Corriere della Sera. Il famoso “fermatevi” di Francesco è nato parlando con l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, quando lo andò sorprendentemente a trovare nelle prime ore del conflitto. “Fermatevi” detto allora all’ambasciatore toglie ogni dietrologia da politichese al lessico papale. Mosca ha aggredito l’Ucraina, quindi lui dice “fermatevi” all’ambasciatore russo. Quando ovviamente la questione è dilagata, la sua indicazione non è stata ascoltata da Mosca e gli ucraini sostenuti da chi non può accettare l’aggressione a uno Stato sovrano si difendono, il papa non ha seguito una logica apparente dicendo “allora distruggeteli”, piuttosto ha ribadito a tutti la stessa parola: “Fermatevi”.

Il papa che ha negato che esista una guerra giusta oggi non si esprime sull’invio di armi a Kiev, non dice, come fecero in quelle ore tanti pacifisti senza un ruolo morale e spirituale come il suo, no alle armi. E cosa dice alla domanda se si dovesse (e si debba quindi) inviare armi? “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini”. Questo ha rilievo, grande rilievo, come quel che afferma di lì a breve: “I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo fatto”. Ecco perché vorrebbe andare a Mosca. Sente che non è questo il momento per andare a Kiev, ma sarebbe quello di andare a Mosca. Ma ad incontrare Putin, che lui deve vedere prima di andare a Kiev. Questo del papa pronto a incontrare Putin a Mosca è il titolo dell’intervista perché questo è il punto. Ma il papa che vorrebbe parlare con Putin conferma che non incontrerà Kirill come avrebbe dovuto fare il 14 giugno prossimo. Questo a me sembra un punto doloroso per Francesco, ma giornalisticamente molto rilevante: “Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin”. Di certo un dolore enorme, perché è evidente che la religione viene usata, si fa usare. Parole che un uomo dal desiderio ecumenico come Francesco avrà pesato, calibrato, soppesato per giorni prima di pronunciarle.

Ma questa crisi di leadership spirituale moscovita non può far dimenticare a Francesco che in gioco c’è la pace nel mondo. Ecco allora che bisogna capire cosa vuol dire andare a Mosca. Perché lui sente che deve prima vedere Putin e poi andare a Kiev? Per me perché sente di dover contribuire a risolvere, questo gli chiede il Vangelo. Andare prima a Kiev vorrebbe dire acuire il solco, andare prima a Mosca vuol dire cercare una via d’uscita per gli ucraini innanzitutto, ma anche per i russi, per tutti i russi.

Il tentativo così sembra quello di far vedere la pagliuzza, o la trave, nel proprio occhio. Non si tira indietro e afferma che la Nato, forse, ha facilitato la deriva putiniana nell’aggressione: “Francesco parla di “un’ira facilitata” forse, ‘dall’abbaiare della Nato’ alla porta della Russia” che ha portato il Cremlino a “reagire male e a scatenare il conflitto”. Il punto è stato usato dalla pubblicistica più avvertita a Mosca. Non il termine di paragone, fortissimo: il genocidio in Ruanda. Infatti spiegando di aver chiesto di incontrare Putin dice: “Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”. Questa è equidistanza?

Certo non sposa una parte, come fa Kirill che nega l’invasione, non fa sconti a nessuno, tranne che agli ucraini, per i quali dimostra la necessaria comprensione, mentre molti gli chiedono solo di arrendersi. Va riportato questo passo, tra virgolette del papa e quanto scrive il direttore Fontana cucendo la narrazione del colloquio: “Si allarga ancora lo sguardo del papa per parlare dei diritti dei popoli in un mondo in guerra, quella ‘terza guerra mondiale’ tante volte evocata e temuta. Non un “allarme”, precisa, ma “la constatazione delle cose: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sembra che sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio. Certo loro sono un popolo fiero”.

A questo proposito il papa torna alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo e alle richieste da parte ucraina che hanno portato allo stop alla lettura della meditazione nella tredicesima stazione, guidata da una donna russa e da una ucraina. Francesco spiega del colloquio avuto con l’Elemosiniere, il cardinale Krajewski, che per la Pasqua si trovava proprio a Kiev per la terza volta inviato dal papa dall’inizio del conflitto. “Ho chiamato Krajewski che era lì e lui mi ha detto: si fermi, non legga la preghiera. Loro hanno ragione anche se noi non riusciamo pienamente a capire. Così sono rimaste in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria”. Ma il 9 maggio potrebbe essere la fine di tutto. Dall’udienza a Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria il 21 aprile scorso in Vaticano, il papa dice di aver saputo che “i russi hanno un piano”. “Così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi”.

Quel che colpisce qui è che Francesco coglie la connessione con gli altri conflitti, che noi di sovente non vogliamo vedere, totalmente lontani da Siria, Iraq, Yemen, Africa. Forse è questo che fa apparire ad alcuni questa intervista lontana dalla nostra sensibilità, o equidistante, quando esprime una vicinanza alle sofferenze degli ucraini che è difficile trovare altrove. Ma questo accade senza sposare agende, se non quella di tenere dentro tutti, non dimenticare nessuno, come è normale per una Chiesa che vuole davvero essere Chiesa globale. La sua disponibilità non sembra sia stata capita dai media del regime. Tanto che un giornale arriva a scrivere che sorprende che il papa dopo l’inizio dell’operazione speciale non abbia avuto un pensiero per i russi. L’apertura può essere respinta, ma in questo caso dimostra che anche la propaganda non sa trovare argomenti, a differenza della diplomazia vaticana, che sembra ancora capace di dare un’anima a quella europea.


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