Lo stallo sul campo, il riscatto europeo, la Nato che mostra i muscoli e apre le porte a Svezia e Finlandia. C’è solo una persona con cui Vladimir Putin deve infuriarsi per lo spettacolare fallimento della guerra in Ucraina: se stesso. Il commento dell’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor Ispi
I dittatori dovrebbero ripassare i libri di scuola. Specie scientifici.
La richiesta finlandese e svedese di entrare nella Nato è la risultante di due leggi: quella della reazione uguale e contraria – terza legge del moto di Isaac Newton – e della teoria del caos – un battito d’ali di farfalla cambia tutto. L’invasione dell’Ucraina è stata la carica di un rinoceronte, altro che farfalla. Sta generando una netta risposta contraria da Nord e caos a catena intorno alla Russia.
Vladimir Putin è alle prese sia con la reazione uguale e contraria alla sua azione – per non rischiar di cedere alla Nato Kiev, perde di botto Stoccolma e Helsinki – sia con la sensibilità esponenziale delle dinamiche europee e internazionali alla variabile, introdotta in già fragili equilibri, quando le truppe russe hanno attaccato Kiev.
In termini meno scientifici, l’autocrate del Cremlino è alle prese con la legge delle conseguenze non volute. In questo caso: compattamento europeo e atlantico, Germania che si riarma, sanzioni, inettitudine militare messa nudo, perdita di mercati per carbone, gas e petrolio, tiepidezza cinese – anche gli amici senza limiti non amano i perdenti.
Da Ankara gli tende forse la mano un altro autocrate. Il quale pure non sembra essere studente diligente delle leggi della fisica. Recep Tayyip Erdoğan può bloccare l’adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza Atlantica. E minaccia di farlo pur guardandosi finora dal mettere il veto.
Ove però lo facesse, poco importa se la motivazione siano esclusivamente interne alla Turchia – ospitalità svedese alla diaspora curda, presunto favoreggiamento nordico dell’opposizione a Erdogan – o vi si affaccino anche l’equilibrismo di Ankara fra Mosca e Kiev e il tentativo di mantenere un buon rapporto bilaterale con Putin. Prevarrebbero i secondi: un veto turco a Stoccolma e Helsinki sarebbe uno schiaffo a Washington e alla Nato. Produrrebbe una definitiva rottura nella politica estera e di sicurezza di Ankara. E, come per Putin, metterebbe in moto variabili esponenziali che la Turchia non sarebbe in grado di controllare.
Putin ha giocato all’apprendista stregone. Ne subisce le conseguenze. Erdogan rischia di farlo – può fermarsi, questa la grossa differenza . La richiesta finlandese e svedese di ingresso nella Nato – provocata esclusivamente dalla decisione russa di usare la forza militare contro l’Ucraina, come i leader dei due Paesi hanno detto ad abundantiam, anche allo stesso Presidente Putin – è la cartina di tornasole di quanto sia cambiato in Europa e nel mondo negli ultimi tre mesi.
La guerra ucraina ha ne ha trasformato le prospettive in bianco e nero, niente più grigi. Una Russia aggressiva, economicamente poco sviluppata (il Pil è uguale a quello italiano) sopravvalutata forse in hard power, sicuramente debole in soft power, ma sempre superpotenza nucleare e grande serbatoio energetico, costringe a scelte di campo. Non ci sono vie di mezzo. A Nord, lo dimostrano Helsinki e Stoccolma, spazzando via un blocco geografico, storico e culturale, di neutralità.
A Sud, anche la Turchia dovrà decidere dove si colloca. Se con la Nato, pur rimanendo eccentrica, dovrà accettare i due nuovi alleati nordici. Erdogan è un equilibrista. Ma anche per un acrobata come il Presidente turco mantenere il piede in due staffe, nella Nato ma mettendo il veto e, volutamente o meno, compiacendo la Russia, è un’impossibile sfida alla legge della gravità – tanto per rimanere nella fisica.
Le condizioni sono cambiate e il quadro degli schieramenti europei e internazionali si sta adattando rapidamente. Gli americani rimangono in Europa e gli europei li ringraziano. La neutralità non c’è più perché non basta a proteggere. Vi rimane, convenientemente, abbarbicato solo qualche Paese che la geografia rassicura circondandolo di Nato e Ue. Austria, Irlanda e Svizzera hanno ben poco da temere e, comunque, non sono aliene da una collaborazione sottobanco e non visibile con la Nato, ad esempio in esercitazioni cyber.
Arriverà anche la difesa europea ma con i tempi elefantiaci di una Ue che ha anche altre grosse sfide cui pensare e, salvo modifica dei Trattati, senza una clausola di difesa collettiva paragonabile all’Articolo 5 del Trattato di Washington. Aspettando Godot, per non saper né leggere né scrivere, Helsinki e Stoccolma bussano alla porta dell’Alleanza Atlantica. Il Cremlino di Vladimir Putin non gli lasciava scelta.