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Piazza rossa (di rabbia). Perché Putin punta l’Italia

Altro che reciprocità. La rappresaglia del Cremlino ha quasi atterrato l’ambasciata italiana a Mosca con espulsioni non proporzionali. Dalle sanzioni alle armi, perché l’Italia di Draghi è entrata nel mirino di Putin (e della propaganda russa)

C’è un dato tutto politico nella tornata di espulsioni diplomatiche con cui il governo russo ha colpito l’Italia di Mario Draghi. La dichiarazione di ventiquattro funzionari italiani a Mosca come “personae non gratae” costretti a lasciare il Paese entro otto giorni, annunciata all’ambasciatore Giorgio Starace mercoledì scorso, sembra a prima vista un atto di semplice protocollo.

Il 5 aprile l’Italia ha infatti espulso trenta diplomatici russi in risposta all’invasione dell’Ucraina, una lista stilata con l’aiuto dei Servizi di intelligence italiani. In diplomazia, di norma, ad ogni espulsione ne corrisponde una uguale e contraria. Nel caso italiano è stato fatto notare che le proporzioni non sono state rispettate alla lettera. Anzi, ha azzardato qualche analista, l’Italia sarebbe stata perfino “graziata” dal Cremlino in virtù di una special relationship non del tutto compromessa neanche durante la guerra.

A uno sguardo più attento però lo scenario appare ribaltato. Non sono infatti i numeri assoluti delle espulsioni a dare il polso delle relazioni bilaterali bensì quelli relativi. E le proporzioni raccontano una storia diversa: a differenza dei trenta diplomatici russi espulsi da Roma, su un totale di oltre duecento passaporti diplomatici russi in Italia, i ventiquattro funzionari italiani che mercoledì dovranno fare le valigie non sono seconde file. In poche parole, notano addetti ai lavori, l’ambasciata italiana a Mosca è stata colpita al punto da congelarne l’effettiva operatività. Tra gli undici diplomatici di carriera presenti nella capitale russa, ad esempio, solo tre rimangono al loro posto, tra cui lo stesso Starace. Di fatto l’ufficio politico, insieme a quello culturale e commerciale, è stato quasi azzerato dalla rappresaglia russa.

Un danno ben superiore a quello subito dalla missione russa a Roma, che invece rimane pienamente operativa. In questi giorni alla Farnesina sono in corso riflessioni sui prossimi passi da fare. Il primo riguarda l’invio di nuovi funzionari in sostituzione di quelli espulsi: Roma vorrà ripristinare la piena funzionalità dell’ambasciata o deciderà di non sostituire tutti i suoi diplomatici? È un nodo politico non banale che in ogni caso richiederà tempo: ci vogliono mesi prima che il ministero degli Esteri russo passi al vaglio i cv e rilasci i visti, e come è intuibile negli ultimi tempi i controlli si sono fatti più stringenti (e politici) del solito. Il secondo concerne una possibile contro-mossa, da concordare tra Paesi Ue, ma al momento una nuova rappresaglia italiana suonerebbe come un segnale di rottura insanabile e remerebbe contro il piano di pace presentato a New York dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Resta un dato che è incontrovertibile: la durissima risposta del ministero di Sergei Lavrov contro l’Italia segnala una tensione senza precedenti nei rapporti bilaterali. Vladimir Putin ha un conto aperto anche con l’Italia. Di questo risentimento la ghigliottina sulla missione a Mosca è solo una delle tante spie.

C’è l’ondata di attacchi hacker russi che da mesi colpisce le istituzioni e le aziende italiane, con un’escalation evidente nelle ultime settimane a seguito degli attacchi Ddos (Distributed denial of service) dei collettivi russi Killnet e Legion. Un antipasto di quello che seguirà, spiegano gli 007 italiani e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), anticipando un salto di livello nelle aggressioni cibernetiche nel prossimo futuro.

Ci sono le forniture militari alla resistenza ucraina giunte ormai al terzo pacchetto, la vera spina nelle relazioni con Mosca: a dispetto delle premesse il contributo italiano è di livello sia per l’efficacia dell’equipaggiamento inviato sia per la logistica che permette un dispiegamento immediato sul campo, scatenando l’ira del Cremlino contro Roma e in particolare il ministero guidato da Lorenzo Guerini.

La massiccia operazione di propaganda russa sui media italiani, con una presenza in tv di opinionisti e ufficiali del governo russo che, per loro stessa ammissione, non ha eguali in altri Paesi europei, non indebolisce la tesi di una rottura di fondo, anzi: il surplus di attenzione verso lo spazio politico e mediatico italiano segnala la necessità di un “contropiede” per invertire la rotta del governo Draghi. Quel motto stampato sui carri militari russi durante la presunta “missione” umanitaria a Bergamo in piena pandemia, due anni fa, è oggi da rivedere. From Moscow with(out) love.


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