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Perché dobbiamo sanzionare John Lee, il nuovo leader di Hong Kong

Alle parole deve seguire le azioni. Così la recente decisione del parlamento belga contro i responsabili della repressione nell’ex colonia britannica devono guidarci. Il commento di Laura Harth (Inter-Parliamentary Alliance on China)

“La persona di John Lee, ex poliziotto, come unico candidato alle cosiddette elezioni è l’emblema di quanto ci dobbiamo aspettare: l’ulteriore erosione della libertà di Hong Kong da parte di Pechino. Inoltre, è segno evidente che le condanne internazionali non sono stati abbastanza forti da scoraggiarli. Il mondo deve intraprendere azioni più coraggiosi nei confronti delle autorità di Hong Kong e la Repubblica popolare attraverso sanzioni o altri meccanismi a disposizione”.

Le parole di Chung Ching Kwong, coordinatrice Ipac su Hong Kong, colpiscono nel segno. Sebbene sia notevole – considerando in particolare la riluttanza della Farnesina ad affrontare il tema soltanto due anni fa – la velocità con la quale il G7 ha espresso la sua “grave preoccupazione per il processo di selezione del capo dell’esecutivo a Hong Kong nell’ambito di un continuo assalto al pluralismo politico e alle libertà fondamentali”, la dichiarazione manca di perseguibilità.

Dall’imposizione nel 2020 della Legge nazionale sulla sicurezza – di cui John Lee è l’espressione perfetta – sono passate molte dichiarazioni di preoccupazione seguite solitamente e unicamente da un generico “continueremo a monitorare la situazione” e/o un appello alle autorità cinesi di tornare sui suoi passi.

È o dovrebbe essere del tutto evidente che tali autorità non sono minimamente intenzionati a rilasciare la loro presa mortale su Hong Kong, men che meno per parole che non siano seguiti da fatti, come per esempio la stragrande parte delle raccomandazioni del Consiglio europeo del luglio 2020 che gli stessi membri del Consiglio hanno pubblicato ma stentano a implementare. Rimane peraltro di fresca memoria come sotto le festività di natale 2020, Consiglio europeo e Commissione europea annunciarono con grande soddisfazione la sottoscrizione dell’Accordo complessivo sugli investimenti con la Repubblica popolare. cinese. Parole da un lato, azioni chiaramente da un altro: Cina uno, Unione europea zero.

Non così nel Parlamento europeo, dove a maggioranze schiaccianti nello stesso biennale il Parlamento europeo ha adottato non meno di quattro risoluzioni sulla situazione a Hong Kong: la ripetuta richiesta al Consiglio europea di imporre sanzioni individuali sui responsabili della brutale repressione a Hong Kong, la sospensione dei trattati di estradizione con Hong Kong e la Repubblica popolare cinese, il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi di Pechino, la condizionalità del rispetto della Dichiarazione congiunta sino-britannica per l’approvazione dell’Accordo di fine 2020, la richiesta espressa di ritirare lo status autonomo di Hong Kong nell’Organizzazione mondiale del commercio – mossa nucleare in termini finanziari.

Sono queste le mosse fattive che mancano nella dichiarazione del G7. Mentre gli Stati Uniti hanno adottato molte delle raccomandazioni fatte dal Parlamento europeo, la maggioranza dei Paesi dell’emergente alleanza delle democrazie rimane particolarmente riluttante nell’affrontare nei fatti la minaccia del Partito comunista cinese alla libertà e democrazia, sia a Hong Kong che nel mondo intero.

Prudenti discussioni all’interno del Consiglio europeo sulla questione dei trattati di estradizione o ulteriori sanzioni individuali su autorità chiavi – come John Lee – si sono del tutto interrotte a seguito delle controsanzioni imposte da parte di Pechino su parlamentari, ricercatori e organizzazioni europei. Controsanzioni che per quanto largamente simboliche hanno fatto fiorire i semi della paura nel cuore dell’esecutivo europeo.

Due anni di successive dichiarazioni di sempre crescente preoccupazione con il solo risultato della nomina di John Lee a capo dell’esecutivo di Hong Kong o il patto senza riserve della Repubblica popolare cinese con la Russia di Vladimir Putin mostrano che è ora di superare tale paura. Su proposta del parlamentare Samuel Cogolati (sanzionato da Pechino) all’unanimità il parlamento belga ha recentemente adottato una risoluzione chiedendo sanzioni europee su John Lee e gli altri responsabili della repressione a Hong Kong.

Spero che sia l’inizio di un’ondata di parlamenti nazionali che mostrano il coraggio di dire ai loro governi che alle parole devono seguire azioni. O meglio, sanzioni.


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