Schiaffo ai né né, nella guerra russa in Ucraina aggredito e aggressore non sono sullo stesso piano. Mario Draghi parla da Strasburgo alla plenaria del Parlamento Ue e schiera l’Italia. Poi bussa a Bruxelles: serve un tetto ai prezzi del gas. E di austerity non si parli più
Il primo schiaffo è per la marea dei né-né, che in Italia come altrove mettono l’Ucraina aggredita e la Russia aggressore sullo stesso piano. Da Strasburgo, di fronte alla plenaria del Parlamento europeo, Mario Draghi ribalta subito l’equazione: “In una guerra di aggressione non c’è nessuna equivalenza tra chi invade e chi resiste”.
Il presidente del Consiglio italiano parla per la prima volta in queste vesti al centro dell’emiciclo europeo, introdotto dalla presidente Roberta Metsola, e dedica il primo pensiero a David Sassoli, il presidente scomparso a inizio anno. La delegazione italiana è presente in forze ma nell’aula si distinguono lunghe file di banchi vuoti.
È il giorno dell’Italia, che sull’invasione di Vladimir Putin non ha dubbi di sorta, garantisce il premier. “L’aggressione russa ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Ue: la pace sul nostro continente, il rispetto dei confini, lo stato di diritto, la sovranità democratica”. A Bucha e Mariupol i diritti umani “sono stati oltraggiati dalla violenza scatenata dall’esercito russo contro civili inermi”.
A Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri di Putin reduce da un comizio negazionista su Mediaset, Draghi ribatte dal cuore dell’Europa, dove in queste ore si decide una manche decisiva per le sanzioni alla Russia. Da Berlino è infatti arrivato un inatteso via libera al blocco, sia pure graduale, delle importazioni di petrolio russo. Un colpo di scena che può sbloccare l’impasse e assestare nei prossimi giorni un altro duro colpo all’economia di guerra di Mosca.
Draghi cita Angela Merkel, “dobbiamo riprendere il destino nelle nostre mani”. Spiega che al “federalismo pragmatico sull’energia, la sicurezza, l’economia” bisogna ora affiancare “un federalismo ideale”, a costo di “iniziare un percorso che porterà alla revisione dei trattati”, aggiunge tra gli applausi, a tre anni dall’ultimo discorso di un premier italiano a Strasburgo, quello di Giuseppe Conte, allora contestato da una parte dell’aula.
Il premier chiarisce che “proteggere l’Ucraina significa proteggere noi stessi”, sottendendo che l’aggredito si difende in ogni modo, anche con le armi. Anche se “aiutare l’Ucraina significa lavorare per la pace”. Lo ripete di continuo papa Francesco, lo ha ribadito in un’intervista martedì, preannunciando un viaggio a Mosca per incontrare Putin e sollevando polemiche per le critiche rivolte alla Nato e alle sue “provocazioni” dietro la crisi in Est Europa.
Per tornare al tavolo dei negoziati c’è bisogno però che anche Putin voglia farlo, e non è affatto detto che sia pronto. Un nuovo, ennesimo tentativo è partito ancora una volta da Parigi, con una telefonata tra il rieletto presidente francese Emmanuel Macron e il leader del Cremlino che, nelle intenzioni dell’Eliseo, ha come obiettivo minimo accelerare l’evacuazione dei civili intrappolati nell’acciaieria di Azovstal a Mariupol, città invasa e occupata dai russi. A Strasburgo Draghi fa sponda e ricorda che l’Ue “può e deve avere un ruolo centrale” nei negoziati.
L’iniziale slancio ideale del discorso del premier fa presto spazio a una arringa più pragmatica, tecnica, in pieno stile Draghi. L’Italia bussa all’Ue e chiede solidarietà nella partita del gas. Da una parte con la proposta di un tetto europeo ai prezzi, che “consentirebbe di utilizzare il nostro potere negoziale per ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie” e aiuterebbe a “diminuire le somme che ogni giorno inviamo al presidente Putin e finanziano la sua campagna militare”.
Dall’altra con la messa in campo di quegli stessi strumenti che due anni fa hanno tolto dal guado della pandemia l’Europa. Come il Sure, lo strumento europeo di sostegno di cui l’Italia è stata tra i primi beneficiari e di cui ora l’Ue “dovrebbe ampliare la portata”. E dopotutto “le risposte dell’Ue alla pandemia sono oggi strumenti utili per governare queste sfide”.
Il messaggio è chiaro e suona come un de profundis all’austerity e ai suoi aedi a Bruxelles. Draghi, che da presidente della Bce a Francoforte ha costruito una legacy sul salvataggio dell’euro dalle secche della crisi del debito sovrano, ribadisce oggi che indietro non si torna.