L’opinione di Maurizio Guandalini, giornalista e saggista: le sanzioni non hanno raggiunto e non raggiungeranno l’obiettivo di sconfiggere Putin e aiutare gli ucraini (meglio, come afferma l’economista Giulio Sapelli, sostenere la dissidenza russa). Ci sono rimaste in mano briciole
Il contrasto nell’Unione europea sul varo del sesto pacchetto di sanzioni è il perfetto paradigma del fine retorico, e ipocrisia, di uno strumento dannoso, sia per chi le infligge sia per chi le riceve, parziale, perché non c’è unanimità tra le nazioni nell’applicarle con determinazione per la paura del caos economico che provocherebbero, inutile, perché non si arriva ad alcuna pace, non si ferma la guerra e non ci sarà alcun colpo di Stato in Russia. Eppure bastava scartabellare la storia per rispondere alla domanda se con le sanzioni e la relativa recessione (accompagnata da stagflazione) in Occidente resisterà più a lungo il popolo russo o noi.
Domanda retorica ovviamente. I russi abituati a un tenore di vita più basso, tranne che a Mosca e a San Pietroburgo, non se ne accorgeranno nemmeno, noi invece abituati a una sostanziale agiatezza, ci ritroveremo paracadutati nello stile di vita al tempo dell’autarchia, con la sola differenza che continueremo a bere caffè buono, poiché non viene dalla Russia, invece della cicoria. Bastava fare un’attenta analisi del valore delle sanzioni, come si fa nelle aziende. E solo questo sarebbe bastato per capire che la sostenibilità, differente, degli stati non avrebbe retto ma nel contempo, le sanzioni, non avrebbero fatto altro che alimentare l’escalation della guerra allungando i tempi della sua conclusione.
L’arma spuntata
Stupisce la prosopopea insistente di alcuni governi, tra cui quello dell’Italia, una delle nazioni che soffre e soffrirebbe di più, a voler interrompere da subito il flusso di gas e petrolio dalla Russia. Probabilmente i comandanti in capo si affidano all’inamovibile Slovacchia e Ungheria, dispensate dall’applicazione di queste eventuali decisioni. Non si spiegherebbe diversamente l’ostinazione verso un provvedimento che lascerebbe, già la lascia, l’Italia sospesa, in balia di un domino di grattacapi da risolvere senza pari.
L’ha ripetuto il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, chiudere ora i rubinetti vuol dire fermare l’operazione di stoccaggio al 40%. L’alternativa, per l’inverno, è il razionamento. Perché per sostituire il monte gas che ci arriva dalla Russia ci vogliono tre anni, se tutto va bene e se riusciamo incastrare alla perfezione l’elenco dei nuovi fornitori. Questo è un crono-time che ha dettagliato, senza espressione di opinioni politiche in merito, l’ex capo di Eni, Scaroni, nel corso del programma Stasera Italia, di Barbara Palombelli su Rete 4.
L’arma spuntata delle sanzioni, ahinoi. O le cose si fanno per bene. O non si fanno. Convinti dei propri mezzi. Dopo aver meditato sulle conseguenze in casa propria e sulle soluzioni immediate, alternative, che non provochino trambusti onerosi per i cittadini. I passaggi li spiegava bene un analista finanziario del governo indiano al quale gli si rimproverava la mancata scelta di comminare sanzioni alla Russia. L’economista ha risposto con tranquillità che prima di tutto il Governo dell’India deve preoccuparsi della vita dei cittadini indiani.
Invece noi le sanzioni le abbiamo brandite come strumento di guerra in una lotta tra civiltà. Noi occidentali siamo meglio di voi russi. E quindi vi puniamo. Ma senza fare la guerra in armi, quelle le mandiamo in ordine sparso, chi più chi meno, alcuni inviano soldati, squadre dei servizi segreti, comunque la Nato non entra nel conflitto. Un patchwork da Sturmtruppen, confusionario, indisciplinato, che ha rinfocolato, aumentato, l’escalation. Finendo a parlare solo di pacchetti sanzionatori a metà e annunci ai quattro venti dell’arrivo di droni, missili e carri armati.
I primi effetti delle sanzioni, sia quelle prese dall’Europa vs la Russia e viceversa, sono ormai prossimi a piombare sulla quotidianità lavorativa. C’è chi sta sperimentando o studiando forme di triangolazione che permettano comunque di violare il vulnus sanzionatorio. Può darsi che accada o stia già accadendo, ma non dimentichiamo che l’effetto sull’economia russa ha messo in ginocchio milioni di famiglie che potevano spendere e permettersi di comprare italiano. Nemmeno la triangolazione ci salverà.
Qui la storia sarà chiamata a fare un’attenta disamina sulle responsabilità di un’azione, le sanzioni (noi continuiamo a parlare solo di gas e petrolio, ma c’è la sterminata sofferenza della filiera alimentare che provocherà più danni), mossa a casaccio, ostinata per partito preso, sbandierata per rivendicare principi soufflé, che si smontano appena si scontrano con la realtà. No al petrolio ma con gradualità. Va bene il gas, l’ideale se copre per tre anni mentre si fa stoccaggio e si cercano in giro altri fornitori. Nel frattempo per non dare nell’occhio si sposta la discussione su come pagare il gas, in euro, in rubli, perché no una via di mezzo con due conti. Che strategia è mai questa. Da sbandierare poi. Capisco che uscirne dopo le fanfare di molte parole spese anche a sproposito non consente giravolte immediate. Qualcuno, però, vorrà strologare sul domani, a guerra conclusa, come gestiremo i profitti e perdite, la partita doppia e i mastrini del dare e avere? I distinguo, le domande, le discussioni in Parlamento dovrebbero girare intorno a questo, abbandonando la retorica dei giorni migliori.
Sul versante evenienze ci saremmo aspettati da Draghi non una ciabatta e uno zoccolo (200 euro di bonus a fronte di bollette rincarate del 130%), ma qualcosa di strutturato, ad esempio quel piano energetico che un mese fa il premier promise di licenziare nel giro di una settimana e del quale oggi ancora non c’è traccia. Dall’Europa quel fondo europeo simile al recovery per far fronte ai buchi dell’economia di guerra, quel prezzo comune calmierato del gas all’approvvigionamento.
Le sanzioni, libro mastro alla mano, lo sa bene Draghi, non hanno mai ribaltato dittatori. E nemmeno li fa desistere nel continuare la guerra (Draghi ha forse chiesto ai nuovi fornitori di gas – non proprio specchiate democrazie occidentali – come saranno usati i soldi che gli daremo?). Sono illusioni. Poggiate su piedi d’argilla, auspici appesi al filo di una speranza di un’unità europea da venire. Se l’esonero da sanzioni di gas e petrolio di Slovacchia e Ungheria sono i presupposti per togliere l’unanimismo delle decisioni, consigliamo a Draghi di non rendere vana questa lunga attesa perché le guerre commerciali come sfide di civiltà, non fanno altro che aumentare l’escalation del conflitto in armi.
Scenari e previsioni
Abbiamo spinto Paesi (Cina, Russia, India, Pakistan, altri dell’Africa) a fare gruppo ‘solidale’. Un’EurAsia allargata. Mentre il Vecchio continente si è accollato sfide disperate per istituzioni, imprese e famiglie, schiacciato tra blocchi commerciali dai quali l’Italia è e sarà dipendente. Dopo la pandemia abbiamo riacceso la globalizzazione, i Paesi, tutti, spinti a ritornare a scambi commerciali e investimenti senza ostacoli mentre per il conflitto russo-ucraino assisteremo a chiusure tra blocchi dove prevarranno – si legga a proposito gli scritti di Domenico Quirico su La Stampa – scontri di civiltà alimentati da rancori precedenti come la volontà di introdurre una moneta di scambio che sostituisca il dollaro.
In Europa, da un lato, prevarrà l’autarchia economica, dovuta al forzato fai da te, e dall’altro la ricerca dissennata, di mercati di sbocco. Partner commerciali, nazioni che per democrazia & libertà saranno alla stregua se non peggio della Russia. A quel punto dovremo ricostruire relazioni di fiducia, processi che richiedono decenni. Lo sanno bene coloro che contrattano con la Cina, o con la Russia, quanto la ‘lavorazione’ per l’integrazione economica è affare più delicato rispetto all’ingresso di nuovi fornitori di gas (tra due anni) come l’Algeria, uno dei paesi sostenitori di Putin. È su questi scivoloni marcati che soccombono le sanzioni, sorte per segnalare un deficit ‘democratico’ del Paese sanzionato, la Russia, si usano, poi, altri livelli di considerazione e valutazione con paesi simili o peggio, nei modi, sul versante diritti umani e libertà (ad esempio Turchia e Iran due paesi fornitori di gas dai quali dovremo ‘passare’).
C’è forse qualcuno disposto a riconsiderare i rapporti economico e commerciali con tutti quei Paesi in odor di deficit democratico? Davvero sarebbe un suicidio in diretta multiplo. Dopo aver ucciso la globalizzazione si concorrerebbe a una gara etico-morale tra paesi, con quelli occidentali che sarebbero puntualmente sottoposti, nella loro condotta, al giudizio elettorale dei propri amministrati in attesa di risposta al quesito primario del domino al caos economico odierno: chi paga?
Le sanzioni non hanno raggiunto e non raggiungeranno l’obiettivo di sconfiggere Putin e aiutare gli ucraini (meglio, come afferma l’economista Giulio Sapelli, sostenere la dissidenza russa). Ci sono rimaste in mano briciole. Perché con le sanzioni non si approda ad alcuna pace. E soprattutto il gioco non vale la candela, lo rileviamo agli effetti della pura strategia. Si riduce in progressive difficoltà economiche su chi le infligge senza ottenere nulla in cambio.
Mi sono andato a rileggere il libro Il prossimo scenario globale di Kenichi Ohmae di cui curai, per Etas-Rizzoli l’edizione italiana, ormai quasi vent’anni fa. E quello che è uno dei maggiori pensatori al mondo di globalizzazione (il quale datò l’inizio della globalizzazione proprio dalla rivoluzione dentro i Paesi dell’Est), nella sua introduzione scrive che “modi di pensare condivisi portano a soluzioni condivise, ma non sarà una comune visione del mondo a produrre le soluzioni e le risposte non ortodosse richieste dallo scenario globale”. Questa è la migliore risposta allo strike back subito dalla globalizzazione. Al suo cortocircuito. Al suo fine corsa?