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Pnrr, infrastrutture e giovani, è l’ora di un grande Sud. Parla Jannotti Pecci

Intervista al presidente degli industriali di Napoli. Bravo il premier a Sorrento a riconoscere che senza il Mezzogiorno l’Italia non va molto lontano. In passato tanti errori con i fondi europei, ora serve investire in competenze e buona Pubblica amministrazione. I giovani? Troppe fughe all’estero, lavoriamo per creare alternative in casa nostra

Alla ricerca di un nuovo Meridione, tutto investimenti. A sentire il premier Mario Draghi, a Sorrento, pochi giorni fa, questa potrebbe essere davvero la volta buona, dopo decenni di parole, slogan e manifesti al vento. Quasi la metà del Pnrr, il 40%, verrà destinato alle regioni del Mezzogiorno, con l’imperativo categorico di investire in infrastrutture e transizione ecologica, elevando il Sud a locomotrice d’Italia.

Tutto molto ambizioso, ma la domanda è: succederà? Formiche.net lo ha chiesto a chi il Mezzogiorno lo conosce bene, ovvero Costanzo Jannotti Pecci, imprenditore di lungo corso del settore alberghiero e termale e presidente degli industriali di Napoli.

Il premier Draghi in occasione del convegno di Sorrento ha eletto il Sud a locomotrice d’Italia, sancendo la destinazione del 40% del Pnrr al Meridione. Abbiamo sentito spesso in passato annunci circa il rilancio del Sud e allora perché questa dovrebbe essere la volta buona?

Nel passato le promesse e i programmi per il Sud, per un motivo o per l’altro, non si sono mai concretizzati pienamente, ed è quindi ragionevole essere prudenti nel fare previsioni anche per questa nuova opportunità, generata soprattutto dalla considerevole mole di risorse aggiuntive disponibili. Non possiamo tuttavia trascurare che, nelle parole del presidente del Consiglio e nell’impostazione data dal governo alla politica di riequilibrio territoriale, vi sono incoraggianti segnali di novità.

Quali sarebbero?

Vi è finalmente il riconoscimento che, senza creare un secondo motore produttivo nel Mezzogiorno, il Paese non riprende la sua marcia, dopo decenni di declino che ha visto il Pil italiano viaggiare nettamente sotto la media europea. Non solo. Viene delineata una politica di sviluppo che, tenendo conto della recuperata centralità del Mediterraneo nei traffici internazionali, assegna al Mezzogiorno un ruolo da protagonista nell’ambito di una svolta europea finalizzata soprattutto a valorizzare le relazioni con i Paesi della sponda Sud. Una posizione che, insieme alla necessità di creare condizioni di maggiore agibilità per le imprese e qualità per il territorio, sosteniamo da anni, e che finalmente trova espressione chiara nei programmi istituzionali.

Però spesso i fondi europei destinati all’Italia e dunque anche al Meridione non sono arrivati all’economia reale, alle imprese, ai cantieri. Che cosa non ha funzionato in passato e cosa dovrà invece funzionare in futuro?

Ci sono stati due ordini di problemi: l’insufficienza quantitativa e qualitativa delle amministrazioni preposte alla gestione dei fondi. Va rimarcato il dato della carenza numerica, perché bisogna sfatare il luogo comune del rigonfiamento degli organici delle strutture del Sud. Poteva valere per un lontano passato, da decenni il blocco del turn over ha ribaltato la situazione. Per di più, le risorse ordinarie trasferite ad alcune Regioni del Sud sono in molti settori inferiori a quelle della media Paese. Il caso sanità per la Campania è solo un esempio eclatante.

Ammetterà che simili errori non dovranno più essere commessi in futuro. O il Sud perderà l’ennesimo treno…

In questo scenario, i ritardi nella spesa dei fondi, europei e nazionali, hanno finito per costituire una sorta di alibi, per cui lo Stato utilizzava le risorse di Bruxelles in sostituzione invece che in aggiunta a quelle ordinarie. Il nuovo corso non può, non deve ripetere questa prassi perversa. A tal fine, viste le carenze progettuali delle amministrazioni locali, bisogna operare sia supportandole con una cabina di regia nazionale operativa a tutti gli effetti, sia dando spazio ai privati, attraverso una corretta applicazione della metodologia del partenariato, sostenuta dalla stessa Unione europea.

E poi?

Nel contempo bisogna recuperare una politica industriale che, per il Sud, significa anche supportare imprese che operano in condizioni marcate da diverse diseconomie. In questo senso va assolutamente prorogata la decontribuzione Sud, in scadenza il prossimo 30 giugno. La fiscalizzazione degli oneri sociali produce efficacia se perdura per almeno un decennio, mentre si avviano o completano i necessari processi di riequilibrio territoriale.

Si dice spesso che non c’è crescita senza infrastrutture, le quali sono da sempre sinonimo di indotto, lavoro, ricchezza e posti di lavoro. Dove cominciare e quali le vere priorità del Meridione in termini di infrastrutture?

Qui l’auspicio è che venga realizzato innanzitutto quanto previsto nel Pnrr, che al potenziamento delle infrastrutture del Sud, a cominciare dai trasporti, dalla logistica e dall’intermodalità, dedica grande attenzione. Vanno completate le piattaforme tecnologiche, digitalizzata la Pa, vanno finalmente fatte decollare le Zone economiche speciali, mettendole in raccordo tra loro grazie alle nuove reti di comunicazione previste, non solo ferroviarie. Vi è inoltre una infrastruttura’ particolare, che va sostenuta con determinazione: il capitale umano.

Si riferisce alle nuove generazioni, che cercano un posto nel mondo e nel mercato?

Sì. A Sud ci sono tantissimi giovani qualificati. Molti negli anni scorsi hanno lasciato il territorio non solo per cercare opportunità in un mercato del lavoro diventato globale, come comprensibile e giusto, ma per mancanza di alternative in loco. Per porre fine a questo fenomeno unidirezionale, dobbiamo da un lato creare condizioni per ridurre tassi di disoccupazione insostenibili, dall’altro costruire percorsi formativi più vicini ai fabbisogni espressi dal tessuto sociale, culturale e produttivo: da profili innovativi in grado di governare l’impresa 4.0 a quadri intermedi che sappiano coniugare tradizione e innovazione.

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