Nonostante le aperture di Elon Musk, l’ex presidente degli Stati Uniti ha detto che non riaprirà il suo profilo sulla piattaforma. Anche perché da quando è stato cacciato da Twitter, il suo tasso di gradimento è tornato a crescere, ha lanciato un social rivale che gli ha già fruttato parecchi milioni, e riempie stadi e centri congressi (a pagamento)
Non appena diventerà il nuovo proprietario di Twitter – se lo diventerà mai – Elon Musk vorrebbe riportare nella piattaforma l’esiliato per eccellenza, Donald Trump. Lo ha annunciato durante un evento organizzato dal Financial Times dedicato al mercato automobilistico, senza troppe sorprese. Se infatti la mission numero uno dell’imprenditore sudafricano è quella di rendere il social network un posto più libero dove ciascun utente possa twittare senza freni, è impossibile non pensare a Trump. Ma allo stesso modo è altamente plausibile che l’ex presidente apprezzi l’offerta, ringrazi per il pensiero e poi la rifiuti.
Sicuramente avrà provato piacere nell’ascoltare Musk affermare che la sua cacciata da Twitter – e poi da Facebook e Youtube – per i fatti di Capitol Hill altro non è stata che un grande abbaglio da parte dei vertici della società. La sua espulsione “ha alienato una larga parte del Paese. Non ha spento la sua voce, l’ha amplificata nella destra. Per questo è stato moralmente e completamente stupido”, ha affermato il proprietario di Tesla e SpaceX. Eppure le ragioni in mano a Trump per non accettare sono diverse, oltre che valide.
Partiamo dalla prima, la sua reputazione. Con le elezioni di Midterm all’orizzonte, Trump si gioca tanto per un suo eventuale ritorno alla Casa Bianca. Per questo, ogni passo falso può costare l’intera corsa e quello di riaprire la sua pagina Twitter potrebbe essere un inciampo, visto che da quando non cinguetta più il suo consenso nel Paese è tornato a crescere. Starebbe valutando con le persone più vicine i vantaggi di un suo ritorno ai fini politici, perché ne vale della sua credibilità. Il suo scagliarsi contro la decisione di espellerlo, ritenuta una chiara violazione della libertà di parola (ma giusto qualche giorno fa un giudice della California ha respinto il suo ricorso, dandogli torto), gli ha permesso di aizzare i suoi oltre 80 milioni di seguaci contro chiunque cercava di mettere a tacere la loro voce. “Viviamo in un mondo dove i talebani hanno un’enorme presenza su Twitter, mentre il vostro presidente preferito viene ancora silenziato. Questo è inaccettabile!”, scriveva in quei tempi. Ritornare da chi lo ha cacciato di casa – seppur i proprietari siano diversi – potrebbe pertanto apparire debole agli occhi di alcuni elettori. E senza decine di tweet al giorno, i suoi raduni (a pagamento) sono strapieni di fan ansiosi di conoscere il suo pensiero.
Seconda ragione. L’uso che Donald Trump ha fatto dei social durante i suoi quattro anni di presidenza è stata un’eccezione nel panorama politico internazionale. Mai prima di lui (e mai dopo di lui) un presidente di un Paese si è affidato così tanto ai social network (forse solo il salvadoregno Nayib Bukele, definito da Joe Biden un “mini Trump”: ma i social qui c’entrano in parte). Questo ha avuto alcune conseguenze positive, ma per lo più negative come ammesso da alcuni repubblicani vicini al fronte trumpiano. Più twittava, più si complicava la sua posizione agli occhi del mondo, più la sua cerchia di fedelissimi doveva tamponare gli errori. Lo ha ammesso lui stesso che, da quando ha recuperato il tempo che trascorreva sui social, è riuscito a fare molte più cose rispetto a prima. Insomma, meglio non giocare col fuoco e non commettere sbagli di cui poi un giorno si potrebbe pentire.
Anche perché un social dove poter dire la sua, ce l’ha già: anzi, l’ha creato lui stesso. E qui si trova la terza ragione, probabilmente quella più importante. All’esilio da Twitter e Facebook, Trump ha risposto con Truth, la piattaforma che ha anticipato l’idea del free speech fondata proprio “per combattere la tirannia di Big Tech”. Su questo nuovo spazio social, il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti contava di ospitare quante più persone possibili, stanche di rientrare nei paletti imposti dalla società. In questo modo ha cercato di fidelizzare quanto più possibile il suo elettorato, più libero di esprimersi contro il pensiero dominante.
E ci ha speso anche un bel po’. Truth è infatti parte di un progetto più grande, che vede la sua punta di diamante nella Trump Media and Technology Group (Tmg), nata dall’unione con la Digital World Acquisition Corp e quotata in borsa. Si tratta di una Spac, ovvero una società veicolo che accelera i processi di quotazione delle aziende private. Il valore d’impresa iniziale della Tmtg, che spera di lanciare anche un servizio streaming, si aggirava intorno agli 875 milioni di dollari e, ancor prima di finire sui vari app store, sosteneva di aver raccolto circa 300 milioni di dollari dai vari finanziatori. A fine anno scorso avrebbe racimolato circa un miliardo di dollari, grazie a un Pipe – Private Investment in Public Equity. Tanti soldi, che Trump ha deciso di dirottare verso la sua campagna per le presidenziali 2024. A dargli supporto ed amplificare la sua voce dovrebbe essere proprio la sua nuova azienda che, con un ritorno su Twitter, rischierebbe di crollare, perdendo il suo utente più prezioso.
Come sottolineato anche da Forbes, per Trump essersi buttato in questa nuova avventura è costato molto non solo in termini economici. Non è un uomo che ha dimestichezza con la tecnologia, anzi “non usa nemmeno la posta elettronica, preferendo invece scarabocchiare i suoi appunti con un pennarello”. Il che non vuol dire che non sia interessato a far soldi. Anche se l’avvio del suo social network è stato faticoso, e la scalata di Musk a Twitter ha reso ancor più difficile l’ingresso di Truth sul mercato – al momento è la settima app più scaricata nell’Apple Store – la sua idea finora lo ha arricchito. Per la precisione, Truth ha portato nelle suo portafogli ben 430 milioni in più: niente male per un progetto che, in teoria, è ancora in fase iniziale (semmai partirà davvero).
Senza contare che, ancor prima che Musk si esponesse, è stato lo stesso Donald Trump a chiarire come per lui non c’è più spazio su Twitter. “Rimarrò su Truth”, aveva assicurato. Potrebbe anche essere un modo per fare il prezioso o per farsi corteggiare il più possibile così da creare dibattito intorno a lui. Ma qualunque sia la decisione finale, Trump dovrà stilare una lunga lista di pro e contro, vedere da che parte pesa di più la bilancia e poi valutare se un suo ritorno su Twitter abbia davvero senso.