“Era un compagno, che significa ‘colui che ha il pane’. Ecco lui il pane lo divideva con tutti”. Umberto Pizzi ricorda lo storico segretario del Pci che avrebbe compiuto oggi 100 anni. In due occasioni riuscì a fotografarlo, e quel giorno in cui il giudice Infelisi lo chiamò per chiedergli di un suo appostamento…
Quando Enrico Berlinguer morì, l’11 giugno del 1984, Umberto Pizzi non era in Italia. “Ero sempre in giro per il mondo in quel periodo, ma la morte di Berlinguer mi raggiunse e fu come una mazzata”. Fu così per Pizzi, e così fu per tantissimi italiani che si riversarono per le strade di Roma il giorno del suo funerale. Fu così anche per Sandro Pertini, l’allora Presidente della Repubblica, che accompagnò la salma del segretario del Pci da Padova, in cui era morto, fino alla Capitale.
Umberto Pizzi, sono passati 100 anni dalla nascita di Berlinguer. Quante volte l’ha fotografato?
Poche volte, avevo un grande rispetto nel fotografarlo, mi sembrava di fargli quasi una violenza. Non aveva un aspetto grosso o minaccioso, era più esile. La sua persona, il suo corpo, mi davano proprio l’idea della non violenza e per questo ho sempre mantenuto un certo rispetto.
(ENRICO BERLINGUER FOTOGRAFATO DA PIZZI. LE FOTO D’ARCHIVIO)
Però alcune foto le ha scattate…
Sì, in due occasioni: la prima volta lo seguii a Roma. Lo incontrai che usciva dall’Ospedale San Giacomo, gli scattai lì delle foto, e poi continuai a seguirlo. A quell’epoca era già segretario del Pci, ma per andare in Parlamento si muoveva a piedi. A un certo punto, in piazza Augusto Imperatore, vide degli operai che facevano pausa pranzo e si fermò a parlare con loro. Li rese estremamente felici.
Anche lui lo era? In una di queste foto sorride…
Credo di sì. Quella foto in cui sorride l’ho sempre regalata, perché era un piacere poterla condividere. Qualche anno fa l’ho regalata anche alla figlia Bianca che mi ha detto: “Quella foto è mio padre”. Era un compagno, che significa “colui che ha il pane”, ecco lui il pane lo divideva con tutti.
E l’altra occasione?
Andai al Teatro Quirino a fare delle foto, recitava Vittorio Gassman, e quindi lo incontrai. Ma lui era molto riservato, e come lui anche la moglie, feci quelle foto al volo e sono le uniche che ho di loro due assieme. Non ti sentivi neanche di toccarlo, aveva su di me questo effetto, per cui mi stupii quando mi chiesero se lo seguissi col teleobiettivo.
(ENRICO BERLINGUER FOTOGRAFATO DA PIZZI. LE FOTO D’ARCHIVIO)
In che senso?
Dopo il sequestro di Aldo Moro fui chiamato dal giudice Infelisi (fu il magistrato di turno il 16 marzo 1978, il primo inquirente ad occuparsi dei fatti di via Fani, ndr) perché credevano che io col teleobiettivo seguissi Berlinguer e invece non era vero.
Perché lo pensavano?
Perché un giorno vado a fare un appostamento per fotografare col teleobiettivo la figlia di Charlie Chaplin che recitava a teatro con uno spettacolo. Proprio lì di fronte c’era il barbiere di Berlinguer, per questo il giudice pensò che lo seguissi anche se non era così.
Ha mai avuto modo di parlarci?
No, mai, e credo in realtà di avergli anche fatto qualche dispetto, perché fotografavo la figlia (Bianca, ndr) che era molto mondana e andava a ballare. Enrico Berlinguer era la persona che, assieme a Sandro Pertini, stimavo di più. Avevo per lui un grande rispetto, quello che diceva mi entrava nel cuore. E lui rispettava tutti, aveva nel cuore la gente che sgobbava, come gli operai, con cui si fermò a parlare, che mettevano i sampietrini.
(ENRICO BERLINGUER FOTOGRAFATO DA PIZZI. LE FOTO D’ARCHIVIO)