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Vi racconto l’antifascismo di Aldo Moro

Moro, che fu un deputato della Costituente, non ebbe mai dubbi rispetto all’impianto su cui strutturare la Carta costituzionale, ovvero un testo impostato sulla prerogativa antifascista. Ma questo suo orientamento emerge con chiarezza quando, appena ventisettenne, parlò alla radio da Bari. Il racconto di Antonello Di Mario

Ogni tanto la sera per qualche minuto ascolto i dibattiti dei talk-show in televisione. Mi colpisce lo scontro che spesso si origina in studio quando si toccano i temi del fascismo e dell’antifascismo. Ci pensavo ieri mattina. Mentre mi recavo verso la sede di lavoro a piedi, in quelle poche ore che non pioveva, mi sono fermato in via Michelangelo Caetani a Roma. Solo il tempo di una preghiera nel posto preciso dove è stato ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro. Era il 9 maggio del 1978. Mentre mi allontanavo ho pensato alle tante cose dette e scritte dallo statista rispetto al Paese che usciva dal ventennio fascista.

Moro, che fu un deputato della Costituente, non ebbe mai dubbi rispetto all’impianto su cui strutturare la Carta costituzionale, ovvero un testo impostato sulla prerogativa antifascista. Ma questo suo orientamento emerge con chiarezza quando, appena ventisettenne, parlò alla radio da Bari. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, utilizzando la sua esperienza di Presidente degli universitari cattolici, gli venne chiesto di lanciare un messaggio radiofonico agli studenti.

Moro lavorava all’ufficio stampa di Badoglio e anche la sua futura moglie, Eleonora Chiavarelli, con cui aveva perso i contatti da mesi, perché l’Italia era spaccata in due (lei si divideva tra Roma e le Marche), ascoltò la sua voce, comprese che stava bene ed intuì che presto avrebbero potuto ritrovarsi. Questo stato anche di natura familiare rende l’idea di ciò che hanno vissuto le giovani generazioni nel dopoguerra e, come, proprio da i tanti disagi, separazione fisica compresa, nascano l’energia morale e quella politica su cui si sono costruite le fondamenta dell’Italia repubblicana e democratica.

Nel suo messaggio parlò da leader che cerca di condividere le speranze di quanti lo ascoltano, coinvolgendo quelle persone rispetto al rapporto che avrebbero avuto col loro futuro. “Troppe volte – disse Moro ai microfoni – troppe volte, specie negli ultimi anni, c’è stato chi, pur coscientemente sapendo di dire il falso, ha parlato di voi. Voi siete apparsi così i credenti di una fede che non sentivate, i sostenitori di una causa che non era la vostra. S’è ricorso al vostro nome come richiamo, coscienti che senza la vostra partecipazione, senza la vostra fiducia, indebolita sarebbe apparsa ogni opera di persuasione della massa. Oggi, nell’ora di rinascita della Patria, voi siete presenti ed attivi col vostro vero cuore in questa dolorosa primavera. Voi siete anzi di questo tempo di riscossa, non solo gli artefici insostituibili, ma gli anticipatori. La più oscura e triste età della nostra storia nazionale è finita soprattutto per la reazione del vostro spirito che in libertà ha giudicato e condannato”.

Il messaggio conteneva anche le indicazioni sulla scelta di campo da compiere: “il dovere che vi incombe è perciò di ritornare spiritualmente fervidi, di esprimere in opere concrete la gioia creatrice del vostro spirito. Ancora una volta, ed ora finalmente per una causa giusta, si fa appello a voi, vi è chiesto di esprimere la vostra convinzione nell’azione concreta. Contro il tedesco invasore c’è da riconquistare la nostra libertà. Il vostro sforzo sorretto dalle forze armate degli alleati, ispirato dalle tradizioni di eroismo del nostro esercito, ridarà all’Italia la sua libertà e le consentirà di sviluppare la sua vita nazionale nella linea della sua grande tradizione” .

Il fascismo aveva ormai il tempo contato e la Repubblica avrebbe presto preso il posto della monarchia. E ricordando Moro così, uscendo da via Caetani, mi è parso più vivo che mai.

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