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Zen in manette. Un (santo) autogol di Xi Jinping

L’arresto del cardinale Zen dalle autorità cinesi a Hong Kong è un segnale pericoloso dell’escalation della repressione ed è un grave errore di strategia di Pechino, non il primo. Ma non vanifica del tutto l’accordo tra Cina e Santa Sede. Il commento di Francesco Sisci

L’arresto del cardinale Joseph Zen ieri a Hong Kong aggrava automaticamente la posizione internazionale di Pechino senza neppure concedere alcun vantaggio alla Cina, anzi.

Il cardinale era il più grande nemico nella Chiesa dell’accordo siglato nel 2018 tra Santa Sede e Cina e in questi tre anni e mezzo con gli sviluppi pur lenti ma concreti delle relazioni, anche per questo era diventato marginale nel dibattito interno della Chiesa sulla Cina.

Oggi il suo arresto lo riporta al centro e gli dà un palcoscenico che mette tutta la Chiesa in difficoltà e imbarazzo. Il papa ha cercato di tenere una posizione alta sul conflitto in Ucraina, sventando i tentativi della Chiesa russa ortodossa di trasformare l’invasione in una guerra santa.

La Santa Sede ha difeso strenuamente l’accordo con la Cina anche quando l’amministrazione americana del presidente Donald Trump l’ha sottoposta a enormi pressioni al riguardo. Adesso questo complica tutto per la Santa Sede e crea un problema nuovo, su una cosa che sembrava invece risolta.

Ciò detto, proprio questo arresto dimostra quanto fosse opportuno e necessario avere un accordo. Oggi con un accordo almeno c’è un canale di comunicazione e la sorte di milioni di cattolici cinesi ha almeno un minimo di tutela.

Il rischio altrimenti avrebbe potuto essere quello di metterli davanti alle difficili scelte degli anni ’50, di rinunciare alla fede o rinunciare a essere cinesi. Detto ciò, non è chiaro affatto perché Pechino abbia deciso ora questo arresto.

Pechino ha sbagliato già credendo alla propaganda russa di una facile vittoria di Mosca in Ucraina, e questo sta creando imbarazzi all’interno e all’esterno. Pechino sta affrontando una enorme sfida del Covid con decine di città e centinaia di milioni di persone in lockdown totale e parziale, e una contrazione economica senza precedenti nella storia recente.

In questo momento forse non era la cosa più saggia arrestare un vecchietto di 90 anni che, per quanto sia, non può essere troppo pericoloso e che pericoloso lo diventa solo dopo questo arresto. In altre parole, Pechino sembra in grave difficoltà ad affrontare tutte queste sfide e questi rischi e, come spesso accade in tali situazioni, fa più errori del dovuto.

In queste condizioni forse tanto più la Santa Sede deve cercare un dialogo e trovare una comprensione con Pechino. Se la Chiesa non parla a chi sbaglia e forse non lo sa e non lo vede, a chi deve parlare?

 

Articolo apparso sulla rivista Settimana News


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