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Amicizia e giustizia senza mascherine. La riflessione di D’Ambrosio

Via le mascherine per riscoprire il volto dell’altro, per confermare amicizia e giustizia delle nostre relazioni, perché, come ha scritto Levinas, “il volto mi parla e così mi invita ad una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita, foss’anche godimento o conoscenza”. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

Pian piano le mascherine sono lentamente archiviate e pian piano recuperiamo i volti della gente, di familiari, amici e conoscenti, ma anche di sconosciuti o lontani. Il post pandemia, specie nel periodo estivo, è certamente un tempo di ricostruzione di rapporti e lo svelare il volto ha un’enorme portata simbolica (Emmanuel Levinas). Qualcosa si è frapposto tra noi e gli altri (restrizioni, spazi interdetti, lontananze, assenza di contatto); il volto è stato spesso coperto; le mani hanno conosciuto più igienizzante che contatto con altre mani. Tutto ciò è stato un peso e credo che la prima indicazione salutare sarebbe quella di alleviare il peso condividendolo. Le ferite si rimarginano da sole quando sono piccole, ma, se grandi, hanno bisogno di più mani. Il dopo pandemia porta con sé un bisogno anche di evasione: ovviamente sta alla coscienza personale stabilire i limiti salutari di essa. Infine il post pandemia, che si incrocia con la guerra vicina-lontana in Ucraina, necessita di ri-fondare le relazioni logore già da prima della pandemia. Non è fuori luogo chiedersi se le nostre amicizie stiano risentendo dell’essere state a lungo “mascherate”. Ma, in fondo, cosa vogliamo da esse?

La forza vitale di tutta la società, secondo Aristotele, insieme alla giustizia, è la philia, che è scambio di benevolenza, amore, amicizia. Essa è la sostanza che fonda tutte le relazioni umane, è il legame del sentimento, diverso per intensità e stabilità, a delle relazioni che viviamo (familiari, professionali, occasionali). L’amicizia non fa bene se è basata sull’utilità o il piacere; invece toccherà il nostro profondo se è basata su una vita virtuosa. Per Aristotele il vero amico è chi desidera e fa ciò che è bene per il suo amico, desidera che il suo amico viva ed esista per il bene e nel bene (Etica Nicomachea). Cosa c’entra tutto questo con il post pandemia? C’entra eccome! Durante la pandemia abbiamo visto persone che hanno dato il meglio di sé, in dedizione agli altri, sacrificio e promozione del bene pubblico; ma abbiamo visto anche chi ha dato il peggio di sé in illegalità, corruzione, cinismo, mancanza di cura per gli altri. Si può ripartire solo se abbiamo le idee chiare su ciò che fonda le nostre relazioni come su ciò che le distrugge.

L’amicizia è un bene prezioso, ma raro, perché si fonda su una rettitudine etica difficile da maturare e condividere. In una realtà familiare, lavorativa, culturale, religiosa, burocratica, politica, i veri amici sono comunque pochi, ma ciò non autorizza a considerare tutti gli altri nemici. Essi, se non sono amici, restano conoscenti, vicini, colleghi, concittadini, compagni di strada in un’esperienza; in altri termini condividono con noi, senza l’intimità e l’intesa dell’amicizia, i fini dell’istituzione in cui ci ritroviamo. Se l’amicizia, la philia aristotelica, è bussola per ri-costruire i rapporti intimi, la giustizia lo è, in egual misura, per ricostruire i rapporti professionali, sociali, politici.

Purtroppo, viste le carenze umane ed etiche della nostra classe politica nazionale – fatte salve le nobili e rare eccezioni – è molto raro trovare, specie nei nostri parlamentari, testimonianze autentiche di amicizia e giustizia. Molto semplicemente perché chi vive amicizia e giustizia non opera sulla direttrice consenso-potere-interessi, bensì su quella legami-cura-crescita, di sé come degli altri.  Consenso-potere-interessi portano alcuni dei nostri politici a trasformare la normale competitività in conflittualità permanente, ricerca ossessionata del consenso, identificazione di se stessi con la causa politica, abbandono dell’interesse comune per il proprio, ponendo l’istituzione in uno stato di perversione. Il loro male è tutt’altro che innocuo o tollerabile, ma affonda le sue radici in deliberate e ponderate riflessioni che distruggono qualsiasi persona e forma di convivenza umana dal suo interno. Il riferimento più pregnante – specie in tempi di guerra – va al problema della pace nelle istituzioni e tra le istituzioni: solo persone ed istituzioni che hanno trasformato il conflitto violento in lotta sana, hanno reso, il nemico, avversario e possono costruire e garantire la pace.

Via le mascherine per riscoprire il volto dell’altro, per confermare amicizia e giustizia delle nostre relazioni, perché, come ha scritto Levinas, “il volto mi parla e così mi invita ad una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita, foss’anche godimento o conoscenza”.

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