Phnom Penh ha negato ancora una volta di voler autorizzare la presenza militare di Pechino nella base di Ream. Ma le immagini alimentano i timori degli Stati Uniti
Un altro no. La Cambogia ha negato ancora una volta di voler autorizzare la presenza militare cinese nella base di Ream. Alla viglia della posa della prima pietra, Phay Siphan, portavoce del governo, ha descritto l’espansione del porto come “cooperazione tra Cina e Cambogia”. Niente di più. Non è, almeno secondo la Cambogia, la nascita di un avamposto navale cinese nel Golfo del Siam (o di Thailandia), vicino allo Stretto di Malacca, a Ovest del Mar Cinese Meridionale, come temuto dagli Stati Uniti.
Sarebbe il secondo avamposto cinese all’estero di questo tipo, il primo nell’Indo-Pacifico (l’altra è a Gibuti, in Africa Orientale), e farebbe parte della strategia di Pechino di costruire una rete di strutture militari in tutto il mondo a sostegno delle sue aspirazioni a diventare una vera potenza globale. Basti pensare che società come Cosco, controllata dallo Stato cinese e quarto operatore del settore dei trasporti marittimi, giocano una ruolo fondamentale nella promozione di un nuovo ordine di sicurezza globale da parte del leader cinese Xi Jinping, scriveva Nikkei Asia poche settimane fa. La società, infatti, è parte “fondamentale” del sistema logistico della cosiddetta “fusione militare-civile”, aveva spiegato Claire Chu, analista senior di Janes, società di intelligence open-source. La marina cinese può avere solo una base all’estero (a Gibuti, nel Corno d’Africa) ma il rifornimento e altri tipi di supporto logistico sono in teoria disponibili ovunque Cosco operi.
La smentita cambogiana è la risposta a un articolo del Washington Post che iniziava così: “La Cina sta costruendo segretamente una struttura navale in Cambogia a uso esclusivo delle sue forze armate, ma entrambi i Paesi negano che sia così e adottano misure straordinarie per nascondere l’operazione, hanno dichiarato funzionari occidentali”.
Siphan ha sostenuto che ospitare una potenza militare straniera sarebbe una violazione della Costituzione cambogiana e che non c’è stato alcun cambiamento nei termini dell’accordo. Ma non ha voluto commentare l’entità del coinvolgimento cinese e ha detto che il progetto prevedeva la costruzione di un impianto per la riparazione delle navi. Secondo Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, sarà una “ristrutturazione” della base che “mira a rafforzare la capacità della marina cambogiana di mantenere l’integrità territoriale marittima e di combattere la criminalità marittima”.
Gli Stati Uniti, forse anche perché non sottovalutano il passato e la guerra civile cambogiana, non sembrano fidarsi delle rassicurazioni più volte dichiarate dalla Cambogia dal 2019, quando l’accordo è stato annunciato. “Abbiamo visto la Repubblica popolare cinese tentare di proporre una serie di accordi oscuri e opachi che vorrebbero vedere firmati nel cuore della notte, senza alcun input o trasparenza”, ha dichiarato Ned Price, portavoce del dipartimento di Stato americano parlando di “uno schema” noto di Pechino.
A gennaio l’Asia Maritime Transparency Initiative, fondata dal centro studi Center for Strategic and International Studies, ha pubblicato immagini satellitari di due draghe “a conchiglia” al lavoro nel porto e ha affermato che, sebbene l’entità del dragaggio sia sconosciuta, potrebbe segnare un “significativo aggiornamento” della base. “Le acque poco profonde intorno a Ream significano che attualmente è in grado di ospitare solo piccole navi da pattugliamento”, si legge. “Un porto con acque profonde la renderebbe molto più utile sia per la Marina cambogiana che per quella cinese”. Immagini più recenti di aprile, analizzate dall’Associated Press, mostrano le draghe ancora sul posto e al lavoro.