Skip to main content

Oltre i cento giorni. Perché (e come) fermare Putin

Cento giorni che hanno cambiato il mondo. La guerra di aggressione di Vladimir Putin riscrive la storia, l’ordine internazionale, spezza le supply chain globali. Perché fermarlo è un imperativo. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano a Washington

Sono già passati cento giorni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina e possiamo dire che il mondo non sia più lo stesso. Quella che, secondo le intenzioni iniziali di Vladimir Putin, doveva essere una guerra lampo che in pochi giorni avrebbe portato alla sostituzione di Volodymyr Zelensky con un presidente “fantoccio” amico di Mosca, si è trasformata, grazie al valore dell’esercito ucraino ma soprattutto alla risposta compatta dell’Occidente, in un conflitto di logoramento che potrebbe durare ancora molto a lungo.

Nel frattempo, le conseguenze sono già state amplissime a livello globale: i rapporti di forza tra Stati potrebbero essere ridefiniti, mentre l’economia sta subendo un secondo shock dopo quello rappresentato dalla pandemia, con il rischio di una crisi alimentare mondiale alle porte che potrebbe far tornare in povertà centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta.

La catena di trasformazione e distribuzione si è intanto interrotta insieme con il processo di iperglobalizzazione in atto da anni. questo comporta  maggiori costi sui prodotti che si stanno riverberando già nell’aumento dei  tassi di inflazione ed in una ricollocazione della produzione , il reshoring, non facile da attuare in poco tempo e non privo anche esso di rischi in attesa di ritrovare un nuovo equilibrio.

A fronte di una situazione così preoccupante, l’auspicio di tutti è ovviamente quello che il conflitto termini il prima possibile. Sperare in una resa dell’Ucraina, a fronte della evidente disparità sul campo in termini di forze e uomini, sarebbe però errato oltre che semplicistico. In questa vicenda, infatti, non va mai perso di vista un fattore cruciale: cioè che questa guerra è iniziata per un’aggressione immotivata e non provocata di uno Stato sovrano ai danni di un altro Stato sovrano.

Troppo poco si parla dell’enorme vulnus al diritto internazionale provocato da questa azione: le controversie tra Paesi non possono essere regolate attraverso la forza, ma vanno canalizzate attraverso le organizzazioni e i meccanismi multilaterali di cui la comunità internazionale si è dotata nel corso del tempo. La stella polare di ogni risposta – militare o diplomatica che sia – deve dunque essere innanzitutto quella di riparare questo vulnus, ripristinando il più possibile l’integrità territoriale dell’Ucraina e costringendo la Russia a rispettare i principi chiave del diritto internazionale.

Come arrivare a questo risultato? Puntando anzitutto a un cessate il fuoco, preludio di un negoziato di pace che tenga in considerazione il diritto legittimo dell’Ucraina di mantenere l’accesso ai porti del Mar Nero e che preveda qualche concessione alla Russia negli oblast russofoni dove sia però manifesta la volontà di autodeterminazione della popolazione locale. Per arrivare a questo obiettivo, quanto è stato fatto fino ad ora dalle potenze occidentali era necessario.

Da un lato, la compattezza della Nato ha probabilmente sorpreso la stessa Russia che non si aspettava un ulteriore allargamento fino a includere Finlandia e Svezia; e le armi concesse all’Ucraina sono un atto dovuto in sostegno di un Paese che aveva – e ha – il diritto di difendersi.

Dall’altro, la strategia delle sanzioni è stata fondamentale, i cui risultati non sono già visibili nel breve periodo ma che in un orizzonte più lungo metteranno in seria difficoltà l’economia russa (che dipende in maniera vitale dalle importazioni di beni manifatturieri dall’Europa). Non si tratta dunque di una proxy war degli Stati Uniti e della Nato contro Mosca, ma della risposta necessaria per evitare che la Russia conquistasse l’Ucraina in pochi giorni ampliando potenzialmente la sua minaccia anche al resto dell’Europa orientale.

Sulla base di queste considerazioni e di quanto accaduto in questi giorni cosa ci possiamo attendere ora? La speranza è che i lenti progressi a livello militare sul terreno preparino il terreno per intavolare una trattativa. Di certo, quando questo conflitto sarà finito, resterà l’amarezza per il preoccupante passo indietro che si è verificato in Europa: secoli di guerre fra Stati, di violenze e sopraffazioni, sembrano essere stati dimenticati e settant’anni di pace nel continente sono stati cancellati in poche ore da un’invasione ancora oggi inspiegabile, oltre che illegale.

Al momento, forse, è ancora la deterrenza nucleare ad impedire un allargamento del conflitto e conseguenze molto più nefaste: ma attenzione, perché il sentiero lungo il quale stiamo camminando è sottile. Serviranno sangue freddo e diplomazia per riportare la pace nel Vecchio Continente.


×

Iscriviti alla newsletter