Non portare dentro il centrodestra le disgregazioni particolaristiche tipiche del centrosinistra è quanto gli elettori di Meloni, Salvini e Berlusconi si attendono. Creare e rafforzare l’unità dell’Italia liberale e conservatrice è invece quanto serve oggi al Paese per far fronte alla crisi economica interna e alla crisi internazionale estera. Il commento di Benedetto Ippolito
Ultimati i ballottaggi, le elezioni amministrative sono dietro le spalle. È normale che per le forze politiche sia il momento dei bilanci, delle autocritiche, anche se è quanto mai indispensabile, soprattutto conoscendo la storia del centrodestra, che presto sia dimenticato tutto e si guardi avanti. Adesso a cuore devono stare unicamente le politiche del 2023, facendo tesoro dell’accaduto ed evitando di far vincere la tentazione perpetua all’autodistruzione che le sconfitte portano con sé.
Un fatto è molto chiaro, a ben vedere, ben al di là dei sondaggi. In Italia se FdI, FI e Lega si presentano uniti, agli avversari non è lasciata trippa per gatti. Il problema non è creare un elettorato, che già c’è; non è inventarsi una leadership, ve ne sono ben tre; non è creare dal nulla una coalizione, perché esiste da trent’anni: la vera sfida è evitare l’autolesionismo, il frazionamento, l’individualismo, l’anarchia, trovando ragionevolezza e maturità politica per stare insieme.
È chiaro che il rischio collisione è sottilmente nascosto nella psicologia di tutti, ma, proprio per questo, in caso di un fallimento dell’alleanza la responsabilità sarebbe politicamente ancora più grave.
Conviene a tal pro che Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi si vedano presto (l’appuntamento, invero, è già all’ordine del giorno) e trovino subito non soltanto i motivi di un’unione indispensabile, ma le motivazioni profonde, vere di un progetto di governo della nazione che deve essere il coronamento di una storia pluridecennale, nonché l’ultima occasione irripetibile per liberali e conservatori di incidere finalmente in modo risolutivo nella società e nella cultura contemporanea.
Le condizioni di consolidamento dell’unità del centrodestra non sono di ordine tattico, non sono legate alla necessità dei numeri, come inevitabilmente è invece per il Campo largo della sinistra, posto che sia. Per il centrodestra si tratta di avere coscienza del proprio progetto ideale, di un’esigenza reale, di una possibilità concreta che riposa nel fondo sostanziale dell’Italia, una politica per la quale nessuno dei tre partiti è superfluo e nessuno dei tre partiti da solo è sufficiente.
Il consiglio non richiesto è di lavorare su un documento unitario, nel quale siano poste in breve le linee guida della coalizione, non cadendo nel tranello di imbastire subito l’inutile discussione sulla premiership. Quest’ultima ora non serve e ai cittadini interessa relativamente, perché non riguarda le cose da fare. Tale unitaria istanza programmatica, una specie di magna carta, dovrebbe contenere tre punti semplici e imprescindibili: unità nazionale, decentramento amministrativo, libertà personale.
Il primo tema è di Fratelli d’Italia, e si traduce nei valori che da sempre quel partito sostiene: presidenzialismo, patriottismo, coesione nazionale.
Il secondo tema è della Lega, e si traduce in un rafforzamento delle autonomie regionali e comunali, nel quadro dell’interesse nazionale.
Il terzo tema è di Forza Italia e dei centristi, e si traduce in una politica sussidiaria di defiscalizzazione, di rilancio della famiglia e dell’economia privata.
Nessuna di queste tre anime politiche di centrodestra può affermarsi senza che coerentemente siano affermate le altre due. Perciò creare divisioni interne è assurdo concettualmente, prima ancora di essere sconsiderato politicamente.
Ad unire tutto il centrodestra è, oltretutto, la negazione frontale di una visione individualista e universalista, tipica del liberal-socialismo, la quale evidentemente ha portato negli anni il centrosinistra ad essere luogo originario di fisiologiche ed inevitabili scissioni interne, rappresentando il riflesso di valori e di iniziative che danno sintesi a quanto sarebbe bene evitare e abbandonare nel futuro: progressismo velleitario, culto soggettivo del potere e internazionalismo scarsamente democratico. La debolezza del campo progressista è la disomogeneità stessa del loro corpo elettorale (Azione, Italia viva, M5S e PD non hanno nulla in comune tranne un comune avversario), coincidente con la mancanza di una storia unitaria di valori e di convinzioni unificate culturalmente.
In definitiva, non portare dentro il centrodestra le disgregazioni particolaristiche tipiche del centrosinistra è quanto gli elettori di Meloni, Salvini e Berlusconi si attendono. Creare e rafforzare l’unità dell’Italia liberale e conservatrice è invece quanto serve oggi all’Italia intera per far fronte alla crisi economica interna e alla crisi internazionale estera. Se, dunque, l’operazione centrodestra non riuscirà, non ci saranno scuse: la colpa cadrà impietosa soltanto sui politici.