La ripresa del nostro Paese ha un suo fulcro importante nelle autonomie locali, specie nei 7904 comuni italiani. Il 12 giugno prossimo si vota in 978 di essi (12,4%), di cui 26 capoluoghi di provincia, 4 capoluoghi di regione. Una cattiva abitudine italiana tende a dare il valore nazionale alle elezioni locali, spesso dimenticando la loro specificità territoriale e le relative storie di candidati, partiti, liste civiche e coalizioni. A questo ricco patrimonio si aggiungono, in questa tornata, due notevoli caratteristiche storiche rilevanti: i sindaci e le amministrazioni, che saranno elette, gestiranno la fase del post-Covid e l’impiego dei fondi del Pnrr, per quanto compete ai comuni. Due limitate riflessioni in merito, che coinvolgono non solo i comuni al voto ma la loro totalità.
Il post Covid sembra essere il tempo non solo del recupero della salute fisica, ma anche di quella relazionale. È il tempo per ricostruire o rinvigorire le relazioni. Prima di tutto riducendo al minimo, quasi a zero (dove possibile) i rapporti telefonici e digitali; incontrandoci e dedicandoci del tempo nel raccontarci come abbiamo vissuto il tutto (lo abbiamo già fatto on line, ma di persona ha ben altro valore), tessendo significati comuni con un dialogo paziente e una sete di conoscenza. Il sapere è sempre un prodotto collettivo, frutto non di uno ma di molti che lavorano insieme. Tanto possono fare in materia tutti i luoghi di aggregazioni (associazioni, comunità di fede religiosa, gruppi di amici). I significati, inoltre, non si inventano; vanno attinti al nostro patrimonio umano comune: moltissimo fanno le letture, il contatto con la natura, per chi può i viaggi dove, non solo si visitano posti, ma si incontrano persone che ci possono arricchire… anche a pochi metri da casa! Le città sono il luogo primo ed essenziale per questo lavoro di ritessitura delle relazioni e gli amministratori locali ne devono essere i principali artefici. Diversi di loro hanno dato un ottimo esempio di vicinanza alle difficoltà della cittadinanza, spendendosi, senza riserve, specie nei momenti più difficili della pandemia. Altri – sindaci, presidenti e assessori – sono stati primatisti tra gli “scomparsi sociali”, fatti salvi i media dove, in genere, non mancavano di pontificare su tutto. La pandemia ci ha insegnato – meglio e più chiaramente – che deve governare solo chi ha mente solida e cuore maturo, ovvero competenza e dedizione nel realizzare concretamente e onestamente il bene della comunità civile.
La competenza è elemento essenziale anche per il grande capitolo Pnrr. Tra scarsezza di risorse umane (per blocco assunzioni e altre ragioni), miopia o corruzione di diversi amministratori locali, molti comuni arrivano impreparati alla sfida del Pnrr. I tempi stringono, i bandi incalzano: se gli elettori pensano di scegliere il primo candidato che capita sotto gli occhi, o che piace di più o, ancor peggio, che ha corrotto per estorcere voti, determinano gravi danni alle comunità locali e all’intero Paese. Il Pnrr esige un “saper fare” in termini di procedure (obiettivi, finalità, indicatori), tempistiche (l’agenda precisa europea) e responsabilità e poteri (nelle complesse relazioni tra governo centrale e autonomie locali). Il Pnrr è uno strumento tecnico, molto sintetico, dove non è scritto tutto, anzi è scritto molto poco, perché si tratta di linee politiche generali che indirizzano il Paese nello spendere le risorse messe a disposizione dall’Europa. Non solo ci vuole competenza (e tanta; quella digitale è solo una base necessaria), ma anche conoscenza del territorio e delle sue risorse, capacità di progettare il futuro, con i piedi per terra e una buona dose di fantasia. Anche qui sindaco e giunta non possono essere i primi che capitano sottomano agli elettori. Come anche, nei comuni dove non si vota, le organizzazioni civiche devono vigilare, spronare e collaborare ancor più perché il Pnrr dia frutti benefici e legali.
Affidare in buone mani le nostre città vuol dire far propria la lezione di La Pira (nel suo discorso al Convegno dei Sindaci delle capitali di tutto il mondo, Firenze, 2 ottobre 1955): “La città è lo strumento in certo modo appropriato per superare tutte le possibili crisi cui la storia umana e la civiltà umana vanno sottoposte nel corso dei secoli”.