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Da De Gasperi all’IA: come si scrive la storia. Lezioni di futuro
L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Il Palazzo ha sbranato i barbari. Il resto è contorno (scissione compresa)

Il fatto rilevante non è tanto nella mossa di Di Maio o nel futuro di Conte. Oggi abbiamo assistito alla definitiva implosione del M5S per mano dei suoi due esponenti più importanti a poche ore dall’arrivo a Roma di Grillo. Il corsivo di Roberto Arditti

A quattro anni e poco più dalle trionfali elezioni 2018 il M5S vive la sua giornata più malinconica e sguaiata, all’insegna di una divisione interna che diventa scissione proprio a ridosso di risultati elettorali (amministrative dell’altra domenica) che segnano comunque il punto più basso nei consensi da molti anni a questa parte.

È una vittoria di Giuseppe Conte il fatto che quelli che non la pensano come lui si levano di mezzo? Certamente no, perché i nuovi gruppi parlamentari certificano l’incapacità dell’attuale leader politico di tenere insieme le diverse anime del movimento, mettendo così la parola fine allo sforzo di buttare la palla avanti che ha spesso caratterizzato l’azione di questi mesi.

È dunque il trionfo di Luigi Di Maio la presa d’atto che non si può andare avanti insieme? Anche qui direi di no, perché è assai improbabile che l’attuale ministro degli Esteri giochi un ruolo di peso nel prossimo Parlamento come esponente di un movimento centrista tutto da inventare e dai consensi (verosimilmente) piccoli piccoli.

Insomma Conte e Di Maio escono politicamente malissimo da questa storia, non solo perché nessuno vince ma soprattutto perché loro due sono loro due, cioè Conte e Di Maio.

Conte perché è il professore, l’avvocato (del popolo), il professionista esterno alla politica che vola fino a palazzo Chigi sulla spinta del memorabile risultato del movimento alle ultime elezioni, quindi è l’uomo che incarna il massimo vertice a livello istituzionale frutto dell’avventura politica di Roberto Casaleggio e Beppe Grillo.

Di Maio perché nessuno come lui ha saputo essere portavoce in piazza e nel Parlamento nella fase “rivoluzionaria” (a parte Grillo) e nessuno come lui ha saputo essere ministro a cinque stelle,  passando dall’ipotesi di messa in stato d’accusa di Mattarella combinata con il viaggio a Parigi per incontrare i “gilet gialli” e per finire da apprezzato timoniere della Farnesina del governo Draghi, premier che un grillino vero dovrebbe detestare con tutte le proprie forze (sbagliando, perché Draghi è più o meno il meglio che abbiamo a disposizione).

Oggi però non è tanto importante ragionare su Conte e Di Maio.

Il fatto rilevante della giornata è nella definitiva implosione del M5S per mano dei suoi due esponenti più importanti a poche ore dall’arrivo a Roma di Grillo (ma c’è chi dice che l’Elevato sia già qui da ieri), previsto per giovedì. È cioè ormai evidente che nemmeno si aspetta il tentativo di pacificazione del Garante Supremo, a riprova del fatto che siamo di fronte ad un fallimento politico totale e non più recuperabile.

La verità è molto semplice, nella sua disarmante violenza.

Il Palazzo ha accolto i barbari con inchini e riverenze. Ma in pochi anni li ha sbranati senza neppure accusare problemi di digestione.

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