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Del Vecchio, il ragazzo di bottega che beffò la globalizzazione. Il ritratto di Bricco

Intervista al giornalista e saggista gran conoscitore del capitalismo italiano. Il fondatore di Luxottica partì da zero e da garzone divenne imprenditore senza ereditare nessuna azienda da qualche nonno o papà. Fu tra i pochi a resistere all’urto della globalizzazione, con lui scompare la possibilità che simili miracoli industriali si ripetano. Generali e Mediobanca? Fino all’ultimo ha dettato linee e strategie, non sarà facile capire chi comanda ora…

Imprenditori vecchia maniera, una specie se non destinata a scomparire, almeno a rarefarsi un po’. Leonardo Del Vecchio era uno di questi, in Italia lo si potrebbe chiamare un capitano d’industria. Ce ne sono stati tanti nella storia repubblicana, partiti da una bottega o da un negozio di Paese, da Serafino Ferruzzi ad Adriano Olivetti, Bernardo Caprotti e, perché no, Silvio Berlusconi, tanto per citarne alcuni.

E ora che il fondatore di Luxottica, il secondo uomo più ricco d’Italia con un patrimonio di 26 miliardi di dollari nel 2021 (prima di lui Giovanni Ferrero con 35 miliardi, secondo la classifica di Forbes) non c’è più, rimangono alcune domande di fondo: con Del Vecchio, l’artigiano di origini pugliesi che dopo l’orfanotrofio a Milano ha creato ad Agordo (Belluno) il suo impero globale, se ne va definitivamente un certo modo di fare impresa? E che ne sarà di quel capitalismo italiano figlio del boom post bellico (Luxottica, oggi per metà francese e primo gruppo della distribuzione di occhiali nel mondo nacque nei primi anni ’60)?

Domande direttamente girate a Paolo Bricco, inviato speciale del Sole 24 Ore, gran conoscitore della storia industriale italiana e dei suoi alfieri, attualmente in libreria con il saggio Adriano Olivetti, un italiano del Novecento (Rizzoli), dedicato proprio a uno degli imprenditori più visionari dello scorso secolo.

Leonardo Del Vecchio non è stato solo un imprenditore, ma l’esempio di un capitalismo che non c’è più. Una lettura corretta?

Diciamo che è stato un vero self made man, forse il primo, uno che dal nulla ha creato la propria azienda, che già ai tempi era un qualcosa di innovativo. Pensiamo solo al fatto che negli anni Sessanta molte delle grandi aziende italiane erano nate ai primi del secolo, o alla fine di quello precedente. Pirelli, Fiat, tanto per citarne un paio, poi tutte cresciute con il boom. Del Vecchio invece ha fatto un’operazione pazzesca, creando da solo la sua azienda, partendo da zero.

Spesso in Italia ci abbandoniamo a facili nostalgie quando scompare una grande personalità e con lui un certo modo di fare impresa.

Più che un modo di fare impresa penso se ne vada la possibilità concreta che nell’arco di una vita si passi da zero a 120 mila dipendenti. Credo sia molto di difficile che oggi nasca un nuovo Del Vecchio, ma non perché gli imprenditori italiani sono meno bravi, semplicemente non ci sono più quelle condizioni economiche e sociali.

Parla dei favolosi anni Sessanta e Ottanta?

Del periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Ottanta, dunque sì. C’era una prateria selvaggia in Italia, gli imprenditori potevano fare e realizzare quello che volevano, anche e non solo grazie a un tacito patto con i dirigenti politici che ben vedevano simili forme di crescita industriale. Ma sa quale è uno dei grandi meriti di Del Vecchio?

Quale?

Essere scampato alla globalizzazione, uno dei pochi a non esserne travolto. Da garzone, artigiano, a piccolo imprenditore e poi ancora più grande. Era facile, ai primi vagiti di internazionalizzazione, vendere l’azienda di una vita o essere spazzati via. Basti pensare alla fine dei maglioni dei Benetton, quando sul mercato sono arrivati i grandi giganti dell’abbigliamento. Ma Del Vecchio no, ha resistito.

Diamo uno sguardo al futuro. Generali, Mediobanca, due scacchieri su cui Del Vecchio era da anni play maker. E adesso?

Il vero punto è questo: Del Vecchio ha rappresentato una fusione perfetta tra imprenditore e impresa. Ed è stato fino all’ultimo ben presente nelle grandi partite industriali e finanziarie. Dunque è ovvio che lascia un grande vuoto e che ora occorre capire i futuri equilibri. Fino a ieri c’era Del Vecchio su Mediobanca e Generali, oggi no. E allora bisogna capire, chi comanda ora? Questa è un po’ la sfida.

Certo, lascia un vuoto importante in termini di presenza anche scenica su questi due fronti…

Sì perché un conto è andarsene a 60 anni, un conto rimanere in sella fino a quasi 90 anni e dettare scelte e strategie. E questo non vale solo per Mediobanca e Generali, ma anche per la stessa Luxottica. Adesso bisogna capire come gestire un addio così importante.

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