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Ex detenuto in attesa di giudizio

Era arrivato per sostenere l’esame di Stato. Appena tornato in libertà per buona condotta. Ma non risultava nell’elenco dei candidati. “Dentro” non poteva tornare essendo ormai libero. Un cine-racconto di Eusebio Ciccotti

Di là dal finestrino impolverato della corriera scorre, in una lunga carrellata, una strada di periferia. Muri scrostati e rattoppati, colorate buste di immondizia cadute dalle autovetture agli indaffarati lavoratori e impiegati diretti sul posto di lavoro, donano un particolare colore alla periferia. Qualche ciclista senza casco e i soliti amanti del footing, fauna di ogni quartiere periferico, aggiungono l’idea della vita salubre tra smog, spazzatura e buche sull’asfalto.

Camillo si accarezza le guance non rasate, lo sguardo perso deambula sui muri di cinta borghesi delle villette che spezzano quelli scoloriti e graffitati dei caseggiati popolari anni Settanta, sui quali lancia rapide zoomate. E pensa all’esame di Stato. Il corso di italiano seguito a singhiozzo “dentro” dovrebbe garantirmi di svoltare con il tema. Poi, la seconda prova, “Trasformazione dei prodotti” è abbordabile. Nel vigneto “interno” per due stagioni ho seguito tutte le fasi della vite. Per l’orale, no problem, con una buona foto riesco a dire qualcosa collegando le materie.

“Buongiorno, sono Camillo Cordaro, sono qui per l’esame di italiano”.

Il presidente della commissione, il professor Pietro Diotallevi, lo vede grandicello, intorno ai trentacinque, sudato, barba di tre giorni, tono della voce fuori controllo per l’emozione. “Sì, lei è un privatista? A me non risultano…”.

“No, no. Esterno, non privatista. Mi hanno appoggiato al vostro Istituto”. “Mi dà per favore un documento?” Diotallevi confronta l’elenco dei candidati con la carta d’identità di Camillo Cordaro, ma il giovane uomo non è tra i 17 nomi dei maturandi dell’Istituto Agrario Cavour.

Camillo Cordaro comincia a sudare. Come se i 39 gradi dell’ultimo giorno di primavera non bastassero. Incaglia con le parole. “Come non ci sono? E l’esame d’italiano?”.

“Un attimo. Chiamo la didattica. Sono il presidente Diotallevi. Abbiamo per caso un privatista, tale Camillo Cordaro che doveva essere nell’elenco?”.

“Non sono un privatista, sono appoggiato da voi”, chiarisce sottovoce Cordaro.

Una voce femminile, a ritmo di valzer, tranquillizza Diotallevi già in panne. “Presidente, lo conosciamo. Non può fare l’esame. Cordaro è ospite della casa circondariale di… L’esame deve sostenerlo nella sua sede”.

Cordaro osserva la bocca di Diotallevi in dettaglio, leggendo il labiale distintamente: “Mi dispiace”. Le sue orecchie sono già invase da un nervoso ronzio che copre addirittura il trattore nel campo alle spalle della scuola. I tecnici dell’Istituto Agrario Cavour stanno operando il secondo taglio dell’erba medica, quello di giugno.

“Lei deve tornare alla casa circondariale, perché da quello che capisco il suo nome è inserito tra i candidati lì, ehm, ospitati.”

“Ma no! Ecco – Cordaro, agitato, tira fuori dalla tasca sinistra posteriore dei suoi jeans scoloriti ad arte, un foglio pieghettato a quadrettoni, che apre e porge al presidente Diotallevi – Vede? L’avvocato Marco Belvedere ha ottenuto dal giudice l’appoggio al Cavour per l’esame! Sono fuori da tre giorni! Ho ottenuto la liberazione anticipata!”.

A Diotallevi quell’ “appoggio” genera un po’ di irritazione, ma capisce che quel giovane uomo vuole cimentarsi con la prova di italiano a tutti i costi. Come tutti gli altri che stanno entrando e prendendo posto. Ognuno con il vocabolario sottobraccio. Cordaro suscita simpatia e pena allo stesso tempo. Diotallevi lo osserva ripetutamente, dal ciuffo di capelli biondiccio sull’occhio sinistro, giù giù, sino alle scarpe da corsa grigio cenere, una volta bianche, alzando e abbassando lo sguardo a mo’ di panoramica verticale.

“Senta, Cordaro, torni a vedere se lei è nell’elenco della casa circondariale, dovrebbero farle fare l‘esame lì.” Cordaro, deluso, fa un cenno con la testa, poco convinto, traducibile con “proviamo”, e saluta con un soffocato “grazie”.

Un’altra mattina di caldo si annuncia. I giornali radio e i siti allarmano con “41 gradi all’ ombra, codice rosso!”. La siccità divora il Paese. Guai ad innaffiare orti e lavare auto con acqua potabile. Razionata anche l’acqua delle cisterne.

Il vociare sereno e le risate dei ragazzi nel piazzale sono la cornice audio delle prove del secondo giorno. Quelle “di indirizzo”. Svolto ieri il tema, oggi nessuno è teso. I loro prof avranno concepito prove niente affatto complicate. Dopo venti minuti, tutti a scrivere con la testa sui fogli. “La vinificazione. Dal grappolo al vino. Il candidato descriva il processo partendo dalla vendemmia sino al prodotto finale”.

“Non è giusto! Io devo diplomarmi. Dovete farmi fare l’esame. Fatemi fare almeno la seconda prova! Dov’è finito il mio nome?”. Nel lungo corridoio, al primo piano, dove sono ospitati i candidati, uno per banco, irrompono frasi chiare frammiste a voci alterate che si sovrappongono. Cordaro Camillo si agita, fa piccoli passi avanti e indietro, su due mattonelle, senza forzare il blocco ideale dei due collaboratori scolastici che impedisce l’accesso ai piani dell’Istituto. Il presidente Diotallevi, abbandonata la sorveglianza al piano superiore, è sceso affannato, insieme alla professoressa di inglese, Franca Giardinetto, in pensione dal prossimo primo settembre, richiamato dai toni alterati di quelle voci. Tenta di calmare Cordaro, facendo cenno con le due mani a palme aperte, “si calmi si calmi”.

“Ma come, ieri non le hanno fatto fare l’esame al carcere?”.

“No, non lo posso fare lì. Sono uscito e non posso tornare ‘dentro’ per l’esame. Infatti, non ero nel loro elenco, con i miei ex compagni di corso! Dovevo stare nel vostro elenco, con i ragazzi del Cavour. Come ha scritto il giudice all’avvocato Belvedere! Oggi mi faccia entrare. Per favore!”.

“Ma non è possibile”. Diotallevi si sente impotente. Scombussolato dentro. Non gli è mai successo di vietare a qualcuno lo studio. Esita a prendere la parola. “Ripeto. Purtroppo lei non è nell’elenco. Non so cosa dirle, Cordaro. Mi dispiace. Sicuramente la sua pratica s’è persa tra gli uffici, tra le email. Ci sarà stato un malinteso… O forse…”. “Forse m’hanno buttato fuori troppo presto! Ho fatto troppe ore di attività rieducativa e m’hanno scalato una montagna di giorni”, commenta ironico Cordaro.

Diotallevi sta per ridere ma si trattiene. Cordaro, inopinatamente, scoppia in una risata liberatoria. Diotallevi abbozza una risatina stitica. Poi, da buon professore di filosofia, aggancia una frase diplomatica, l’unica disponibile al momento nel suo borsello semantico: “Ci sono le prove suppletive, tra dieci giorni. Segnaleremo la questione e sicuramente sarà inserito.”

Nell’ampio piazzale la sagoma di Camillo Cordaro si allontana gradualmente sino al campo lungo. Diotallevi lo osserva dall’androne. L’ex carcerato cammina ondeggiando, delicatamente, come Charlot, attraverso il cancello aperto del Cavour, verso il celeste sbiadito dell’orizzonte. Che è poi il muro di cinta invalicabile di un metro e ottanta delle case popolari.

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