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Volontà politica e strumenti istituzionali. La Difesa europea secondo Pinotti

Per implementare la Difesa comune devono procedere in parallelo la volontà politica da un lato e gli strumenti istituzionali dall’altro. Con la guerra in Ucraina una possibile soluzione potrebbe essere nello sviluppare cooperazioni rafforzate, sul modello della Pesco e incrementare il gioco di squadra. Il punto di Roberta Pinotti, presidente della commissione Difesa del Senato riportato all’evento “Strategic Compass: le sfide per l’Italia” organizzato dall’Istituto affari internazionali (Iai)

In merito ai temi di decisione dell’Unione europea in materia di Difesa, è importante che ci sia una relazione, e un rapporto, tra la volontà politica e gli strumenti istituzionali. Sono due forze che devono concorrere. Ad esempio, sulla vicenda che ha riguardato l’Ucraina, l’Europa è stata in grado di decidere e finanziare immediatamente l’invio delle armi al Paese per potersi difendere. Questo è stato possibile non perché si fosse previsto uno strumento per quella vicenda, ma si era previsto lo strumento europeo per la pace (European peace facility), istituito a marzo 2021, che prevedeva di dotarsi di uno strumento europeo di fondi comuni per finanziare le funzioni ed estendere le misure di assistenza al di fuori del continente africano. Ma avendo quello strumento e la volontà politica, espressa chiaramente da parte degli Stati europei, di condannare l’invasione e poter così aiutare l’Ucraina, si è potuta avere una rispondenza immediata, un segnale immediato. Mai era avvenuto prima che l’Ue inviasse armi, non esisteva uno strumento che permettesse di poterlo fare. Addirittura era difficilissimo immaginare che nelle missioni, per esempio di addestramento, si potessero fornire i giubbotti antiproiettile e strumenti di protezione personale alle Forze armate che si andavano ad addestrare e si stava studiando un meccanismo. Anche da qui poi nasce questo strumento europeo per la pace.

L’Ue comincia ad averne molti di strumenti nel settore della Difesa. Ad esempio la Pesco (di cui conosco bene la genesi del progetto del 2017 perché ne sono stata, insieme ad altri, promotrice) è stata spinta inizialmente da Italia, Germania, Francia e Spagna, poi si sono aggregati molti altri Paesi e via via si è estesa a 25. Lo strumento della Pesco, seppur importante, è ancora farraginoso, ma dà il segnale che si può partire e una volta partiti c’è la possibilità per tutti di partecipare. Dovendo l’Ue combattere con il tema dell’unanimità è una possibilità da tenere presente, anche rispetto agli strumenti che possiamo attivare. C’è l’Agenzia europea di Difesa (Eda), il Fondo europeo della Difesa (Edf), lo strumento europeo per la pace (Epf) e c’è il pacchetto Difesa della Commissione.

Tuttavia, quando si parla di volontà politica si sa di avere un vincolo e un limite rappresentato dall’unanimità. Limite evidenziato anche nella difficile discussione che è stata fatta sul sesto pacchetto di sanzioni, su cui l’Ungheria poneva il veto e alla fine si è trovata una mediazione. Ma tra l’annuncio fatto da Ursula Von der Leyen (volontà politica) e la capacità di poter decidere (strumento istituzionale) è passato comunque un mese, cosa che non era successa, invece, per l’invio delle armi.

È bene sapere che in ogni caso un percorso che possa prevedere i cambiamenti dei Trattati, anche se il Parlamento europeo su questo ha dato il via a un documento favorevole, e in questo senso si è espressa anche la conferenza di recente conclusa sul futuro dell’Europa, sarà inevitabilmente lungo. Soprattutto, rispetto alle sfide che abbiamo davanti, è un percorso che non ci consente di disporre degli strumenti adeguati nel momento in cui è necessario. Credo che la possibilità di procedere per cooperazioni rafforzate sia uno strumento da prendere in considerazione. Vedo la possibilità per i Paesi che ho citato, quindi Francia, Germania, Italia e Spagna, che già sono molto coordinati e hanno una sensibilità e visioni comuni rispetto al settore, di poter prendere iniziative per indicare le direzioni di marcia. E quindi forzatamente prevedere un’Europa a più velocità, che già c’è per quanto riguarda l’euro e Schengen e che quindi può esserci anche nel campo della Difesa. Dato che la Difesa è un tema molto identitario, auspico percorsi che possano poi essere aperti a tutti: si parte e poi ci si può, anzi ci si deve, allargare. Io penso che ci sia la sensibilità e la responsabilità da parte di questi Paesi di poter decidere con lo strumento istituzionale a disposizione. Cioè di poter partire e cominciare a dare su questo tema, risposte più forti.
La Bussola strategica fa passi in avanti importanti e anche questo non va sottovalutato. È nata in un contesto in cui non c’era ancora la guerra nel cuore dell’Europa. La proposta di una forza di intervento rapido di 5mila soldati è assai minore alle ambizioni che erano state auspicate in passato e molto, molto lontana dal lavoro che era stato fatto nel 1952. Mi è capitato recentemente di leggere il disegno di legge sulla Difesa comune che allora era stato portato in approvazione, primo firmatario Alcide De Gasperi, al Consiglio dei ministri del 1952 ed era veramente un’ambizione estremamente più forte.

Quell’appuntamento con la storia, purtroppo, è andato mancato. La Bussola nasce, comunque, in un contesto diversamente drammatico da quello che stiamo vivendo ora. Era una risposta immaginata dopo la tragedia e la poco commendevole figura occidentale in Afghanistan, quando abbiamo assistito a una partenza affrettata in una situazione di caos completo all’aeroporto di Kabul – poi gestito bene dalle nostre Forze armate – e abbiamo visto afghani appendersi agli aerei perché non riuscivano a salire. Non è stato un bel modo per l’occidente di chiudere la missione. In quel momento si era pensato che per quell’aeroporto e per quel tipo di intervento avrebbe potuto essere sufficiente una forza di intervento rapido di 5 mila soldati. Nel frattempo, però, purtroppo la Russia ha invaso l’Ucraina. Speriamo che quanto prima possa esserci un accordo, ma se l’Unione europea volesse farsi garante di una pace che dovrà anche essere vigilata (penso ad esempio a quello che hanno fatto l’Italia con la Francia , sotto egida Onu, dopo il conflitto tra Israele e Libano, striscia di terra ben più limitata di quella che sarebbe da vigilare in Ucraina e che pure necessitò ben più di 5000 militari ) dovremmo partire con una coalizione di volontari, di Paesi che volontariamente collaborano. Lo strumento, nel caso, non ci sarebbe. Quindi la Bussola fa un passo in avanti ma è molto timido rispetto a quelle che sono le sfide del mondo.

Sempre riguardo al tema della volontà politica, in questo momento le diverse opinioni pubbliche sono molto più a favore della Difesa europea di quanto non siano state in precedenza. È importante poi essere chiari e non usare ipocrisie: sento alcuni in Italia che adesso si fanno grandi sostenitori della Difesa europea, ma dicono di esserlo perché così non serve l’aumento delle spese militari. In realtà, se gli altri Paesi europei spendono il 2% o anche più, non capisco perché l’Italia, se partecipa alla Difesa europea, non dovrebbe assumersi impegni come gli altri. In ogni caso certamente possiamo spendere meglio, ad esempio riducendo la frammentazione che abbiamo per quanto riguarda l’approvvigionamento di sistemi d’arma. Con la Difesa comune si potrebbe spendere molto, molto meglio.

Ci sono stati tagli fortissimi dal 2008 in poi, anche da parte dell’Italia, purtroppo adesso le necessità di Difesa sono più evidenti.
Un rischio c’è anche nelle opinioni di chi dice che c’è bisogno della Difesa europea perché così ci si libera dal giogo della Nato dove decidono tutto gli Stati Uniti – sto parlando della propaganda di chi oggi sento a favore della Difesa europea ma che in generale non è stato mai molto favorevole a questa costruzione -. In realtà ricordo bene come nel 2003 per la guerra in Iraq, ci sono stati Paesi Nato che hanno partecipato alla coalizione ed altri Paesi che erano contrari, quindi non è che si è per forza costretti a concordare con le scelte degli Usa. Appoggio completamente la posizione su cui il ministro Lorenzo Guerini ha lavorato, ricordando l’importanza di una sinergia e di una cooperazione tra Nato e Difesa europea.

Si deve sfruttare questo momento, in cui le opinioni pubbliche sono favorevoli, e avere il coraggio di fare dei passi molto più forti, anche per ciò che riguarda l’industria della Difesa. È un processo che non può essere lasciato solo all’industria. C’è assolutamente bisogno di consolidare una capacità industriale europea sulla Difesa, ma sappiamo che ci sono in gioco interessi, posti di lavoro e quindi anche interessi nazionali. C’è quindi bisogno di una visione strategica da parte degli Stati che immagini di salvaguardare le produzioni di eccellenza e le capacità locali e di avere delle compensazioni sulle ricadute delle scelte, per non avere ricadute negative per i singoli Paesi.

La decisione storica che ha assunto la Germania, cioè predisporre un investimento di cento miliardi per la Difesa (il 4 giugno centesimo giorno della guerra, è stato approvato dal Parlamento) ci pone degli interrogativi: è chiaro che se queste maggiori risorse vengono tutte investite per acquistare all’estero e non per rafforzare anche la produzione industriale europea, quella maggiore capacità e responsabilità che l’Europa dice di voler assumere, rischia di partire indebolita.

In Italia abbiamo grandi capacità ma spesso non sappiamo fare un gioco di squadra, non lo facciamo tra i ministeri e a volte non lo facciamo nelle modalità di programmazione. Volere più Europa e più Difesa comune nell’Ue, aspetto su cui l’Italia è fortemente convinta in grandissima maggioranza, significa però diventare anche più capaci di sapere quali sono i percorsi per avere maggiori responsabilità. Importante la spinta dei valori ma dobbiamo allinearli agli interessi. È bene che anche noi diventiamo capaci, come già fanno gli altri Paesi, di programmare le nostre presenze all’interno delle istituzioni europee perché tutto questo nostro impegno politico, e il presidente Mario Draghi lo sta mettendo in prima persona, poi si trasformi anche in una capacità di incidere effettivamente laddove le scelte concrete vengono fatte.


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