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La dolce dissolvenza di un Movimento fantasma

In una dolce e inesorabile dissolvenza, del Movimento Cinque Stelle rischia di rimanere un fantasma. Dalla scatoletta di tonno alla scatoletta vuota, dove (non) porta l’ultima faida grillina. Il commento di Gianfranco D’Anna

Come orbite concentriche i riflessi della guerra in Ucraina, gli effetti delle elezioni francesi e le prospettive del dibattito parlamentare sulla politica internazionale dell’Italia coincidono con l’apogeo della crisi nella quale si sta vorticosamente avvitando il Movimento 5Stelle.

Un Movimento fra lo stand-by e il count-down. Tanto da essere ormai considerato dagli ambienti politici fra i partiti perduti del Transatlantico, con la differenza che rispetto ai monumenti storico parlamentari della Dc, del Pci, dei socialisti, dei liberali e dei repubblicani, i grillini sembrano destinati a lasciare labili tracce, tranne quelle delle contraddizioni clamorose fra i punti di partenza e quelli di fine legislatura. Tutto e il contrario di tutto.
In sintesi, l’apriscatole per il Parlamento, il dimezzamento delle indennità, il no all’Europa, al sottogoverno, ai privilegi parlamentari e l’abbraccio alla Cina e alla Russia del primo governo Conte, per passare alla metamorfosi finale dell’ok a Tav, ai gasdotti, alla Nato, all’Europa alle armi all’Ucraina e allo stop a Pechino e Mosca dell’attuale maggioranza di governo.
Una dissolvenza impressionante con un unico comune denominatore: il progressivo azzeramento dei voti e della perdita di agibilità politica. Come evidenzia il dibattito fra la babele interna dei grillini e gli altri partiti, quello dei 5 Stelle è a tutti gli effetti un movimento fantasma che procede per inerzia in attesa di dividersi e contarsi, ma senza alcuna incidenza politica.
Deflagrate per dirottare l’attenzione dei media dal disastro elettorale senza appello delle amministrative, una débâcle che compromette le chance delle politiche, le roventi polemiche sulla politica estera in funzione di dialettica interna sono infatti già rientrate alla vigilia dell’intervento col quale il premier Draghi riaffermerà in Parlamento il forte impegno del Paese a difesa dell’Ucraina invasa e martoriata dalla Russia di Putin.
Del resto la svolta dell’inedita premiership europea di Roma, assieme a Parigi e Berlino, evidenziata dalla visita dei tre leader a Kiev e l’esito delle elezioni francesi che sospinge in bilico sulla maggioranza il presidente Macron, rafforza ulteriormente il ruolo di baricentro internazionale di Mario Draghi e del governo italiano. Per la prima volta anzi la maggioranza di Palazzo Chigi è più stabile di quella dell’Eliseo, dove la coabitazione del nuovo governo parigino dovrà arginare l’exploit della destra di Marine Le Pen. Della serie Parigi val bene Mélenchon. Le destre a cavallo delle Alpi faranno da ago della bilancia degli equilibri europei. Di una Unione impegnata in prima linea accanto alla resistenza dell’Ucraina.

A Montecitorio e a Palazzo Madama, gli interrogativi sulle prospettive e gli scenari del dopo frana che progressivamente sta travolgendo i 5 Stelle, coinvolgono parzialmente il mare in tempesta dell’arcipelago leghista e della segreteria sempre più precaria di Matteo Salvini. Se per Luigi Di Maio e l’area governista dei grillini si dovesse concretizzare la scissione o l’assunzione della guida di quel che resta del Movimento, la rotta preventivabile è quelle verso l’approdo nel Pd e dell’area di centro in via di aggregazione, per la Lega l’ambito di oscillazione resta quello del centrodestra, latitudine Giorgia Meloni.

A differenza di Le Pen, apparentemente tagliata fuori dalle prossime presidenziali francesi, la leader di Fratelli d’Italia vede all’orizzonte la possibile affermazione alle politiche del 2023 e la sua nomina come prima Premier donna. Anche in questo caso l’orbita politica di Meloni è già all’apogeo dei populisti europei e dei 5Stelle, che a parole sono contrari alla politica estera europeista e atlantista di Draghi, ma nei fatti ininfluenti e fuori sincrono con i loro elettori e col paese.

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