Oltre che nel centrodestra, con le prese di posizione di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, il dibattito politico del dopo amministrative si sta sviluppando anche all’interno del centrosinistra sul tema della premiership. L’opinione di Gianfranco D’Anna
Dal generale agosto all’autunno caldo fino al carnevale dell’anno prossimo, sarà lungo e travagliato il tormentone della premiership che ha già iniziato ad intersecare la politica italiana.
Ma se per il centrodestra l’investitura di Giorgia Meloni appare ormai incardinata per effetto della lievitazione elettorale di Fratelli d’Italia e del tramonto di Berlusconi e Salvini, per il vasto fronte progressista, visti i risultati, non è incoraggiante il precedente tedesco della Kanzler syndrom per la successione ad Angela Merkel. O meglio, per il centrosinistra capovolge la prospettiva del candidato per Palazzo Chigi. Nel senso che non c’è bisogno di andare alla ricerca di un nuovo premier visto che già c’é…
Fino adesso nell’arcipelago del Nazareno e del vulcano centrista di Calenda, Renzi, Sala, Toti, Di Maio e Forza Italia, latitudine Brunetta, Carfagna e Gelmini, la premiership è stata una sorta di tabù. Il confronto focalizza le alleanze, ma mai l’identikit di riferimento. Confidando sull’inerzia dell’esempio inglese del leader di partito candidato premier, Enrico Letta ha glissato il tema mentre il puzzle centrista non ha voce in capitolo e soprattutto non ha nomi condivisi. Da Max Weber a Karl Popper, la personalizzazione della leadership e l’evoluzione dei partiti lascia intravedere nel campo largo idealmente delineato da Letta più antagonismi che condivisioni. A meno che, ed è questa l’illuminazione che si sta facendo strada nei palazzi delle istituzioni e negli ambienti parlamentari, l’intero fronte del centrosinistra unanimemente non chieda a Mario Draghi di candidarsi in prima persona come bussola dell’Italia progressista.
Tecnicamente l’opzione Draghi potrebbe configurarsi come una candidatura indipendente di continuità, per assicurare con una maggioranza coesa e definita il proseguimento lineare della governabilità del Paese per portare a termine il Pnrr in un momento di assoluta emergenza internazionale, economica e socio sanitaria. Più che gli interessi di partito, le ambizioni personali dei capicorrente e le fughe in avanti dei politologi, la grande forza propulsiva di una eventuale candidatura alla premiership di Draghi è rappresentata dal consenso dell’opinione pubblica e dall’evidente riscontro internazionale del prestigio personale, nonché dall’ incidenza europea e atlantica del presidente del Consiglio.
Draghi for president per Palazzo Chigi, con la legittimazione del voto popolare, potrebbe rappresentare, dopo la meteora dei 5 Stelle, una ulteriore prova di vitalità democratica e costituzionale per il Paese, consentendogli di scegliere fra alternative politiche inedite, chiare e concrete. Utopia o un miracolo possibile di democrazia compiuta?