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Perché l’asse Ue-Israele sul gas dipende dall’Egitto

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi
Crisi del gas, l’Ue rimedia alla dipendenza russa

Dopo le visite di Draghi e von der Leyen, ecco il memorandum a tre per portare gas dai giacimenti Tamar e Leviathan in Europa tramite il cosiddetto “gasdotto della pace”. Ma la crisi alimentare rappresenta una minaccia per la stabilità regionale

Karine Elharrar, ministra israeliana dell’Energia, oggi è al Cairo per incontrare Abdel Fattah Al Sisi, presidente dell’Egitto, l’omologo Tarek El-Molla e Kadri Simson, commissaria europea per l’Energia. Al centro degli appuntamenti c’è il memorandum d’intesa firmato da Israele, Egitto e Commissione europea, durante l’incontro dell’East Mediterranean Gas Forum, per vendere gas all’Europa, impegnata a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Sembra essere la prima volta dal 2013 in cui l’Unione europea firma un accordo con Israele senza alcuna clausola territoriale che escluda i Territori palestinesi occupati, ha fatto notare Hugh Lovattsenior policy fellow di ECFR. Ciò, ha aggiunto l’esperto, pone alcuni interrogativi: “Gli insediamenti israeliani possono beneficiare degli investimenti relativi al carbon capture? Israele può sfruttare ed esportare le riserve di gas palestinesi?”.

Quella che prevede un passaggio dall’Egitto tramite il cosiddetto “gasdotto della pace” (di cui l’azienda italiana Snam possiede il 25% delle quote) appare la soluzione più praticabile tra le varie in campo per portare in Europa gas dagli importanti giacimenti israeliani Tamar e Leviathan. Dall’Egitto il gas viene inviato in Europa, probabilmente in Italia, passando dagli impianti Idku (Shell) e Damietta (Eni) nel Delta del Nilo. Al contrario, Eastmed — di cui recentemente si è tornato a parlare dopo che il progetto sembrava affossato — appare un progetto più complicato. Se il rialzo dei prezzi e le nuove dinamiche del mercato riaprono ragionamenti sull’infrastruttura, continuano a pesare i costi e i tempi di realizzazione. Va inoltre aggiunta la necessità di costruire un gasdotto, un legame fisico a lungo termine, che appare in controtendenza rispetto all’impegno occidentale verso la decarbonizzazione.

Il dossier energetico è stato discusso dalla ministra Elharrar lunedì con von der Leyen, impegnata in una missione regionale in Israele, Egitto e Giordania — tre Paesi che stanno usufruendo delle opportunità di distensione offerte dal quadro regionale per rafforzare le relazioni reciproche (e con gli Emirati Arabi Uniti). “Il Cremlino ha usato la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi per ricattarci”, ha detto la presidente della Commissione europea durante un discorso all’Università Ben Gurion nella città di Beersheba. Ma il comportamento di Mosca “non fa altro che rafforzare la nostra determinazione a liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili russi”, ha continuato, sottolineando che l’Unione europea sta “cercando modi” per “intensificare” la cooperazione energetica con Israele. Sul tavolo il cavo elettrico sottomarino EuroAsia Interconnector e il sopracitato gasdotto Eastmed sulla cui fattibilità è attesa in tempi breve la decisione della Commissione europea.

La stessa ministra Elharrar ha affrontato il tema martedì con Mario Draghi, presidente del Consiglio italiano, durante la sua visita in Israele. E prima ancora, ad aprile, l’aveva fatto con Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico. Durante il faccia a faccia con Draghi, Naftali Bennett, primo ministro israeliano, ha dimostrato all’omologo italiano grande attenzione verso la soluzione del “gasdotto della pace”.

Questa presenta un vantaggio: a differenza di Eastmed non sembra incontrare eccessive resistenze da parte della Turchia, Paese con cui sia l’Italia sia Israele hanno interesse a mantenere buone relazioni nonostante alcune incompatibilità con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Ankara appare decisa a rilanciare le relazioni con Gerusalemme tramite la cooperazione energetica, ma il gasdotto che collegherebbe i due Paesi richiede almeno due anni, se non tre, per la costruzione – mesi di cui l’Unione europea non sembra disporre. Inoltre, tra turchi e israeliani sembra aumentare la cooperazione sulla sicurezza, anche con un occhio all’Iran.

Israele “potrebbe essere interessata a coinvolgere l’Italia come chiave per gli accordi energetici che l’Unione europea deve discutere con Israele e Egitto creando una sorta di cartello sub-regionale che coinvolga anche Cipro e Grecia per comunitarizzare il mercato gas”, ha spiegato Giuseppe Dentice, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.SI – Centro Studi Internazionali, a Formiche.net commentando la missione di Draghi. Ed è anche per questo che la stabilità del Mediterraneo allargato è stato uno dei temi del bilaterale con Bennett. “Abbiamo discusso anche del rischio di catastrofe alimentare dovuta al blocco dei porti del Mar Nero”, ha dichiarato il presidente del Consiglio. “Dobbiamo operare con la massima urgenza dei corridoi sicuri per il trasporto del grano. Abbiamo pochissimo tempo, perché tra poche settimane il nuovo raccolto sarà pronto e potrebbe essere impossibile conservarlo”, ha aggiunto.

L’Egitto è uno degli Stati della regione maggiormente a rischio, con la crisi alimentare che potrebbe aggiungere un nuovo, devastante elemento all’instabilità dell’area, già compromessa dalla presenza nella regione orientale del Sinai di una forza attiva dello Stato islamico. L’instabilità ha già spinto alcuni progetti infrastrutturali a evitare il Canale di Suez. Un esempio è Blue & Raman Submarine Cable Systems, una nuova infrastruttura per la connettività realizzata da Google in collaborazione con alcuni operatori (tra cui Sparkle, gruppo Tim) che dall’Italia si estende fino in India.

In questo quadro, il governo egiziano ha deciso sia di puntare sui produttori nazionali sia di avviare interlocuzioni dirette con l’India — sempre più attiva in Medio Oriente. E non è un caso che gli ambasciatori dei Paesi G7 e quello dell’Unione europea al Cairo abbiano condiviso una dichiarazione in cui puntano il dito contro la Russia di Vladimir Putin per l’invasione dell’Ucraina ed evidenziano come al prezzo del grano ai massimi storici (in aumento del 160% rispetto alla fase pre-crisi) possa presto unirsi un dimezzamento del raccolto.

“Così come il governo egiziano è attivamente impegnato a garantire le spedizioni di grano e altri prodotti alimentari, gli Stati del G7 sono al lavoro per mantenere aperti i mercati agricoli globali”, si legge. “Sosteniamo l’Ucraina nella produzione e nell’esportazione di prodotti alimentari per contribuire ad alleviare la crisi. In questo modo, siamo anche al fianco del popolo egiziano”, continua la nota. Che poi conclude, dopo un elenco delle attività occidentali a sostegno dei Paesi più colpiti dall’emergenza, con un invito: “Evitare questa crisi è possibile solo esercitando tutta l’influenza possibile sulla Russia. Il presidente Putin deve porre fine alla sua guerra di aggressione e alla distruzione e al blocco delle forniture alimentari essenziali per il mondo, per evitare la fame globale”.


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