L’erede al trono saudita visita tre Paesi fragili del Medio Oriente. L’obiettivo di bin Salman è di dimostrarsi un interlocutore, prima dell’arrivo di Biden nella regione
Secondo Aaron David Miller, senior fellow del Carnegie Endowment for International Peace, il tour regionale del principe saudita Mohammed bin Salman (anche MBS) è un tentativo di dimostrare, prima dell’arrivo in Medio Oriente di Joe Biden, che lui non è affatto isolato e che l’Arabia Saudita è un attore regionale chiave. Egitto, Turchia e Giordania sono le tappe di questo viaggio che anticipa di poche settimane la visita dell’americano — al centro degli affari internazionali perché considerata anche l’avvio di un nuovo, complicato tentativo statunitense per annacquare l’influenza russa e soprattutto cinese nella regione.
“MBS viaggia solo dove gli viene assicurata un’accoglienza calorosa, con la Turchia come tappa più importante, a indicare che per quanto riguarda [il presidente Recep Tayyip] Erdoğan il dossier [Jamal] Khashoggi è ormai chiuso”, spiega Miller in un intervento su Media Line.
L’obiettivo del saudita potrebbe in effetti essere quello di coordinare la narrazione degli Stati chiave del Medio Oriente. Biden vedrà, a Jeddah, i leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), ma al vertice inter-regionale sono stati invitati anche re Abdullah di Giordania, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi e il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi. MBS non vuole rischiare che qualcosa vada storto, ossia che qualcuno sottolinei negatività rispetto al suo ruolo nelle dinamiche dell’area e al peso saudita. In sostanza, ci tiene a far passare il messaggio che Riad è riconosciuta come la guida della regione.
Questa operazione passa anche dalla capacità di offrirsi come interlocutore (o meglio dire finanziatore) e di distendere frizioni preesistenti. L’esempio della Giordania è utile: quando nell’aprile 2021 è stato arrestato il principe Hamzah, fratellastro del re Abdullah, con l’accusa di tramare un complotto a corte, nella vicenda ci è finito coinvolto anche Bassem Awadallah, un ex capo della Corte reale giordana che ha lavorato come consigliere di MBS. In sostanza sembrava che l’erede al trono saudita fosse in qualche modo (niente è dimostrato) coinvolto nel rovesciamento del trono giordano.
Ora una visita distende le frizioni, con Amman che accetta anche per pragmatismo. La Giordania soffre una crisi economica, non si è ripresa dalla pandemia, ha difficoltà strutturali legate anche a questioni ambientali come l’insufficienza idrica. Riad ha la possibilità di dirigere finanziamenti per lo sviluppo economico della Giordania, dossier “sul tavolo” dei colloqui privati come spiegano le fonti.
Se Re Abdullah sarebbe probabilmente interessato a un impegno personale da parte di MBS sul non intervenire nella politica interna giordana, specialmente all’interno della famiglia reale, dall’altra parte non rifiuterà qualche forma di aiuto. Un modo tangibile per il saudita di rafforzare i legami con la Giordania sarebbe quello di incrementare gli aiuti economici, ma senza porre condizioni al Regno hashemita, ottenendo in cambio maggiore influenza.
La cooperazione economica e di sicurezza regionale, la garanzia dell’approvvigionamento energetico mondiale (soprattutto alla luce della guerra in Ucraina), le sfide emergenti come quella alimentare e quelle climatiche, sono temi di contatto e cooperazione. Nella regione, come spiegava su queste colonne Alessia Melcangi (Sapienza/ACUS), si creeranno ulteriori distanze tra Paesi più ricchi (che beneficeranno degli effetti delle evoluzioni globali legati a nuove forniture e aumenti dei prezzi dell’Oil&Gas) e quelli più fragili. Con i primi che avranno un ruolo cruciale nell’aiutare gli altri, come nel caso dell’Egitto — a cui Arabia Saudita, Emirati e Qatar hanno già deciso di inviare miliardi per assistenza economico-sociale e politica, oltre i 14 accordi da 7,7 miliardi siglati durante la visita del saudita.
Il principe ereditario spera di presentarsi – agli occhi americani – come artefice di un equilibrio regionale, gettando su questo le basi per il rinvigorimento dell’alleanza con gli Stati Uniti. In sostanza, bin Salman cerca di mostrarsi in grado di orientare la direzione delle alleanze strategiche regionali. L’avvicinamento incerto tra Il Cairo e Ankara, due delle più influenti potenze musulmane sunnite, su cui Riad prova a farsi da sponda ascoltando entrambi, servirebbe allo scopo.
In questo progetto ampio, Ankara fornisce spazi. Erdogan è consapevole che la Turchia ha bisogno di partner e vuole assecondare i desideri di chi potrebbe aiutarlo. L’economia turca è in difficolta da tempo, e Riad – anche grazie alle nuove entrate che le nuove dinamiche del mercato energetico potrebbero permettergli – potrebbe avere un impatto positivo per il Paese, considerando le esportazioni e i potenziali investimenti sauditi. Contemporaneamente, l’Arabia Saudita sfrutta questa opportunità per rimodellare il proprio ruolo di leadership.