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Cosa si può fare (e cosa no) nell’anno prima delle elezioni

Inutile scrutare le coalizioni in via di liquefazione per capire se il Pd riuscirà a tenere insieme Conte e Di Maio, se nel centrodestra Meloni sarà incoronata leader, se il centro riuscirà a scombinare le alleanze e tenere Draghi a Palazzo Chigi.C’è una cosa che si può fare in questi mesi, e dunque si deve fare. Il mosaico di Fusi

La scissione nel M5S chiude la fase del MoVimento vittorioso, ma non quella del populismo. Giusto. E dunque di quella suggestione intrisa di demagogia che ne facciamo? Il Pd, secondo il paradigma espresso dal Enrico Letta, ci si vuole confrontare dialogando sia con Conte che con Di Maio. Vuole cioè essere l’interlocutore e perfino il collante di due segmenti politici che si scomunicano l’un l’altro. Le ironie sul Campo Largo sono facili ma infantili. Piuttosto è facile immaginare che così la confusione invece di diminuire aumenti e che la soluzione a un fenomeno comunque deleterio non abiti lì.

Parimenti a destra vorrebbero risolvere il problema attraverso la scorciatoia della leadership di Giorgia Meloni. Conquistata sul campo, dovrebbe tramutarsi in premiership capace di amalgamare spezzoni politici in difficoltà (Salvini) o in inarrestabile declino (Berlusconi). Anche qui, la soluzione appare più un whisful thinking, un miraggio piuttosto che un fattibile percorso. Infine si affaccia un’area di centro affollata e composita pronta a inalberare la sagoma di Mario Draghi e dietro quella assieparsi per scombinare le alleanze e mantenere SuperMario a palazzo Chigi anche per la prossima legislatura. Il meccanismo elettorale e la vischiosità degli schieramenti non aiutano. Anche qui, più una velleità che una strategia praticabile.

Bene: e allora? Allora niente, centrodestra e centrosinistra sono in via di liquefazione e non si intravedono figure in grado di agglutinare uno schieramento che possa presentarsi con le carte in regola davanti agli italiani per reclamare una delega di governabilità che sia di sistema e non passeggera. Si andrà avanti così fino alle elezioni del prossimo anno. Poi si vedrà.

Draghi continua il suo lavoro, e le delusioni europee come per il price cap sul gas non lo scoraggiano. Il presidente del Consiglio italiano gode in ambito Ue di un prestigio e di una autorevolezza notevoli. Le ironie sul fatto che non abbia la statura della Merkel sono nient’altro che il segno di malmostosità di cortile che azzoppano il ruolo e le potenzialità dell’Italia. C’è un pezzo di Paese che sceglie l’autolesionismo come pratica politica: non è una novità e – populismo e demagogia o meno – non cesserà di farsene promotore.

Il punto dunque è cosa potrà fare Draghi nell’anno scarso che gli resta di governo. La riposta è al contempo semplice e complicata: continuare con determinazione sul sentiero  riformista stabilito assieme a Bruxelles per ottenere i finanziamenti del Recovery, tenendo sotto controllo le spinte disgregatrici promosse, quasi come un riflesso condizionato, dai partiti della maggioranza. E riconsegnare a fine corsa il mandato nelle mani di Sergio Mattarella. In un quadro siffatto, la definizione della legge di bilancio appare la sfida più importante, e anche in questo caso la partita è al tempo stesso semplice e complicata. Semplice perché Draghi e il ministro dell’Economia Franco sanno bene cosa fare e quali risorse mobilitare. Complicato perché gli appetiti dei partiti in una fase di fermento preelettorale non saranno facili da domare. Eppure non c’è altra strada.

Ma c’è pure un’altra fondamentale partita che va giocata fuori dal perimetro del Palazzo. Una massa consistente di risorse si sta per dispiegare su comuni e regioni. Sono i fondi del Pnrr che riguardano trasporti, energia, sicurezza che possono essere spesi solo a patto di presentare progetti credibili e concreti. D’intesa (inevitabile e giusta) con il governo centrale, l’Italia amministrativa, una parte della quale oggi va ai ballottaggi, ha un’occasione storica per emanciparsi e stimolare il decisivo binomio Crescita&Sviluppo.

Guerra e inflazione non danno tregua e rendono ancora più urgente inserire quelle risorse come sangue fresco nelle arterie anchilosate del Paese. Più che abbaiare alla luna dei giochi di potere e delle rivalità interne, il sistema politico potrebbe usare almeno questa opportunità per venire incontro alle esigenze degli elettori. Detta così, sembra una chimera. E invece si può fare. E se si può, si deve.


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