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Quale impatto avrà il voto sulla politica? Il mosaico di Fusi

Il percorso che deve portare ad una conclusione ordinata della legislatura non verrà delineato dalle urne di domenica e da quelle dei ballottaggi. Ma è importante per capire come si presenteranno alle politiche i due (non) schieramenti, tra seduzioni proporzionali e coalizioni ballerine

È noto che in Italia qualunque consultazione elettorale, anche se riguarda il comune di Pizzopapero, diventa un’ordalia, assume un valore decisivo per definire strategie, esaltare o processare leader, avviare o scongiurare manovre di Palazzo. Domani vanno a votare per rinnovare le rispettive assemblee comunali ed eleggere i relativi sindaci circa 9 milioni di italiani per quasi mille comuni di cui quattro – Genova, L’Aquila, Catanzaro, Palermo – capoluoghi.

Già basterebbe e avanzerebbe per il profluvio di analisi, commenti, valutazioni da universo-mondo di cui sopra e al quale dovremo rassegnarci. Se poi aggiungiamo che si vota anche per cinque referendum sulla giustizia e che in questo caso il numero dei votanti è essenziale perché solo se la metà più uno degli aventi diritto si reca ai seggi la consultazione diventa valida, il gioco non solo è fatto ma è ultra ampliato.

Come tutti possono vedere i problemi del Paese sono seri e profondi e alle ripercussioni geo-politiche del conflitto tra Russia e Ucraina si aggiunge il mefitico ritorno di lady spread, capace di terrorizzare i mercati produrre incubi nelle Cancellerie di mezzo (e più) mondo. È evidente che tali problemi resteranno, indipendentemente da chi diventa sindaco della Lanterna o amministra la spiaggia di Mondello. Come pure è ovvio che per i rispettivi amministrati sapere chi si occuperà della loro vita non è indifferente. E neppure sarà trascurabile valutare fino a che punto l’astensionismo ha guadagnato terreno.

Insomma sono elezioni locali e tali resteranno, mentre sui referendum pesa come una mannaia la percentuale dei votanti. Lunedì l’Italia sarà la stessa di oggi, e le priorità non cambieranno. Chi alza polveroni e discetta senza posa forse veste i panni del pifferaio magico dal quale è bene non farsi irretire.

Detto questo, è verosimile che il voto possa essere valutato almeno come linea di tendenza. I numeri possono aiutare. Come osserva Roberto D’Alimonte sul Sole 24 ore, in 21 città su 26 l’alleanza di centrodestra si presenta unita, mentre il numero scende a 15 per quel che riguarda il “campo largo” al cui centro c’è l’asse Pd-M5S. Significa che il primo è più coeso del secondo? Rispondere sulla base di tali indizi rischia di essere fuorviante. Del resto per il centrodestra basta guardare ciò che accade a Verona, dove FdI e Lega votano lo stesso candidato mentre Forza Italia sostiene l’ex Carroccio Tosi, per comprendere che le cose sono più ingarbugliate di quel che sembrano.

Ciò nonostante è vero che seppure profondamente divaricato al proprio interno su questioni non proprio secondarie come la politica estera e il sostegno o meno a Putin, il centrodestra è deciso a presentarsi nella formula classica alle elezioni politiche del prossimo anno, e una vittoria amministrativa farebbe da propellente all’intesa. Non è la stessa cosa nel centrosinistra, dove il simbolo del M5S è assente in oltre la metà delle città al voto mentre quello del Pd campeggia e la fa da padrone.

Forse si spiega anche così la riottosità del triumvirato MeloniSalviniBerlusconi riguardo le avances sotterranee di Enrico Letta per una modifica in senso proporzionale della legge elettorale. Con l’attuale meccanismo, infatti, il centrodestra unito ha molte più chances di successo anche se un brivido resta per il Senato, assai spesso voragine della governabilità, visto che secondo alcuni calcoli lo scarto tra i due schieramenti a favore del centrodestra si conterebbe sulle dita di una mano.

Al dunque è facile prevedere che da lunedì ci sarà una tracimazione di parole per descrivere ciò che è successo, anche e soprattutto ai fini della tenuta delle due coalizioni e per quel che riguarda l’assetto della larga e stramba maggioranza che sostiene Mario Draghi. Ma il percorso che deve portare ad una conclusione ordinata della legislatura non verrà delineato dalle urne di domenica e da quelle dei ballottaggi. La sfida è molto più impegnativa e ardua. Meglio saperlo.


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