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Un porto in Sudan. Così gli Emirati puntano a dominare il Mar Rosso

Abu Dhabi annuncia un progetto infrastrutturale in Sudan abbinato a un piano agricolo: 6 miliardi investiti per consolidare la presenza emiratina nel Corno d’Africa e Mar Rosso, spiega Vidal (Georgetown). Mentre il nuovo presidente somalo arriva negli Emirati…

Gli Emirati Arabi Uniti costruiranno un nuovo porto in Sudan, lungo il Mar Rosso, come parte di un pacchetto di investimenti da 6 miliardi di dollari. La notizia è stata annunciata direttamente alla Reuters da Osama Daoud Abdellatif, il presidente del gruppo DAL, specializzato nel settore e partner dell’accordo.

Abdellatif ha detto che il pacchetto include una zona di libero scambio, un grande progetto agricolo e un imminente deposito di centinaia di milioni di dollari alla banca centrale del Sudan, che sarebbe il primo finanziamento di questo tipo dopo il golpe militare di ottobre 2021.

Il nuovo scalo sarà frutto di un progetto congiunto tra DAL e Abu Dhabi Ports, di proprietà della holding ADQ, e diventerà in grado di gestire tutti i tipi di merci e competere con il principale porto nazionale del paese, Port Sudan, da cui disterà circa 200 chilometri. Includerebbe anche una zona di libero scambio e una industriale sul modello del Jebel Ali di Dubai, nonché un piccolo aeroporto internazionale. Il progetto è in “fasi avanzate”, con studi di fattibilità e tavole tecniche già complete.

Abbinati a quelli portuali, dagli Emirati arriveranno anche investimenti in piani agricoli sudanesi – il Paese potrebbe subire presto gli effetti pesanti della crisi alimentare prodotta dalla guerra russa in Ucraina. Si parla di 1,6 miliardi di dollari che il conglomerato di Abu Dhabi IHC e DAL Agriculture muoveranno verso la città di Abu Hamad, nel nord del Sudan, secondo quanto dichiarato da Abdellatif.

Sui 400.000 acri di terreno affittati saranno coltivati e lavorati erba medica, grano, cotone, sesamo e altre colture. Verrà costruita anche un’autostrada da 450 milioni di dollari, lunga 500 km, che collegherà l’area agricola al nuovo porto. Questa parte del progetto verrà finanziata dall’Abu Dhabi Fund for Development. In base all’accordo, il fondo emiratino effettuerà anche un deposito di 300 milioni di dollari alla Banca Centrale del Sudan.

In passato, quando si era parlato di investimenti del Golfo a Port Sudan e in progetti agricoli in altre zone del Paese si erano create opposizioni interne. Ma ora il contesto potrebbe essere diverso.

Secondo Albert Vidal, Fulbright Scholar e graduate student di studi arabi alla Georgetown University, il progetto consentirà agli Emirati di rafforzare il proprio vantaggio come prima scelta per lo sviluppo economico dell’Africa. “Gli emiratini, impegnati nella realizzazione delle infrastrutture di base che collegano l’Africa al resto del mondo, stanno diventando i guardiani delle porte attraverso le quali scorre il commercio africano”, spiega Vidal a Formiche.net.

Anche la sicurezza alimentare è al centro dell’agenda di politica estera di Abu Dhabi? “C’è un’ovvia sinergia — risponde Vidal — tra questo e gli altri progetti annunciati: mentre 1,6 miliardi di dollari saranno investiti nell’espansione della produzione agricola, gli Emirati Arabi Uniti costruiranno anche la strada a pedaggio che ridurrà drasticamente il tempo necessario per spostare i prodotti alimentari dai campi del Sudan (e potenzialmente del Sud Sudan) ai supermercati degli Emirati Arabi Uniti”.

Abu Dhabi agisce da potenza, assiste lo sviluppo di Paesi terzi rientranti nella propria fascia di influenza. Qui il ruolo dei porti è fondamentale. Tra gli obiettivi strategici emiratini c’è quello di diventare un riferimento globale della logistica, collegando sempre più scali nel programma “String of Pearls”, la collana di porti che si dovrebbe estendere dal Golfo al Corno d’Africa fino al Mediterraneo – e magari successivamente integrarla con la Belt and Road cinese (come spiegato tempo fa su queste colonne dall’esperta di Golfo Cinzia Bianco dell’Ecfr).

Questo slancio strategico è facilmente riconoscibile nell’espansione internazionale di AD Ports, che negli ultimi anni ha avviato partecipazioni in progetti in Egitto (Sharm El Sheikh, Hurghada, Safaga, Ain Sokhna), Giordania (Aqaba), adesso Sudan e molto presto in Guyana. Contemporaneamente anche la DP World, gigante della logistica di Dubai, è attivissima in progetti simili. Per esempio: qualche giorno fa è stata annunciata una partnership con Saudi Ports Authority (accordo per 30 anni del valore di 133,33 milioni di dollari) per costruire un parco logistico al porto di Jeddah.

O ancora: a marzo, la società ha acquisito il 100% delle azioni di Imperial Logistics, che tra l’altro ha operazioni in Sudan, Etiopia e Yemen; e a maggio ha firmato un protocollo d’intesa per sviluppare il lato etiope della strada che collega l’Etiopia a Berbera, in Somaliland, dove gli emiratini hanno una postazione militare extraterritoriale, trasformando quel tracciato in un importante corridoio commerciale e logistico.

Per Vidal, “l’investimento in Sudan consoliderà gli Emirati Arabi Uniti come uno dei principali attori del Mar Rosso. Se costruito con successo, il porto sudanese sarà situato in una via d’acqua strategica e potrebbe contribuire seriamente a sbloccare lo sviluppo del Paese, soprattutto perché il porto principale (Port Sudan, ndr) ha recentemente subito interruzioni”. Port Sudan – su cui la Russia aveva messo gli occhi per una base navale, piano poi saltato – è da tempo afflitto da problemi infrastrutturali ed è stato chiuso da un blocco politico per sei settimane alla fine dello scorso anno, perdendo gli affari dei principali shippers internazionali.

Stante il quadro, non è un caso se in questi giorni Hassan Sheikh Mohamud, nuovo presidente somalo che s’è dato come obiettivo quello ambizioso di riportare stabilità nel Paese, abbia scelto Abu Dhabi per il suo primo viaggio internazionale. Gli emiratini hanno interessi nei porti somali, e potrebbero pensare al Paese anche per piantare una terza base militare nel Corno d’Africa – dopo Berbera e Assab, in Eritrea, dove hanno ridotto le proprie attività, come spiegava lo scorso anno Eleonora Ardemagni in un’analisi per Ispi.

Secondo Luciano Pollichieni di Fondazione Med-Or, “insieme al compito difficile di stabilizzare il Paese, Hassan Sheikh è chiamato anche a dare una direzione politica chiara e strategicamente sensata alla Somalia”. Ma la costruzione di una postura regionale per Mogadiscio dovrà tenere conto dell’allargamento dell’East African Community, del conflitto nel Tigray, dell’aumento dell’assertività russa e cinese nella regione, spiega lo studioso italiano.

Per Rashid Abdi, analista somalo esperto del Corno d’Africa, viste anche queste situazioni, Hassan Sheikh sta cercando di “porre fine alla politica estera clientelista stringendo nuove relazioni con il Golfo basate sulla ‘moderazione’, sul rispetto reciproco”. La distensione con gli Emirati iniziata subito dopo la sua elezione, visto il ruolo strategico giocato da Abu Dhabi nella regione, diventa allora quasi inevitabile dato che il Paese di Mohammed bin Zayed sta acquisendo via via centralità nella regione.

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