Poche righe del nuovo volume di Massimo Borghesi, “Il dissidio cattolico”, pongono il problema drammatico di questo secolo: appare plasmato da Bin Laden, dall’azione o reazione apocalittica, una spirale alla quale non sappiamo più sottrarci. È un passaggio fondamentale per capire cosa ci sta accadendo
Il nuovo libro del professor Massimo Borghesi, “Il dissidio cattolico” è un volume di circa 400 pagine che spiega come e soprattutto perché il dissenso cattolico verso il magistero di Francesco sia uscito, come dire, dai margini, dai confini del cattolicamente immaginabile. Più che un libro è un’opera sul magistero cattolico e la gravità di una frattura che sembra derivare da un’impossibilità a comprendersi se non in base a qualcosa di molto profondo. Parlare di questo volume, come spero di fare prossimamente, richiede però la scelta di alcuni argomenti decisivi tra i tanti tratti, ma in modo sistematico, in modo da rendere fedelmente ma giornalisticamente l’idea.
Qui vorrei limitarmi a presentare quel che Borghesi ci dice in modo sorprendente, geniale perché elementare, proprio nelle primissime pagine dell’introduzione, che in sé potrebbe già essere un libro. E cosa ci dice di così importante il professor Borghesi che nessuno di noi aveva capito? Queste semplicissime parole bastano a farsi un’idea. Dapprima ci avverte che l’11 settembre ha cambiato lo scenario del mondo e la Chiesa ne ha subito il contraccolpo. Ok. Sembra scontato. Poi però chiarisce: “noi e loro, noi o loro: questo è il quadro che l’11 settembre impone a tutti, anche ai cristiani”. Dunque le nuove identità non sono più un qualcosa fluttuante come ai tempi della moda new age, ma “dure e conflittuali”.
Borghesi in poche righe ci racconta un millennio, quello che abbiamo appena cominciato a percorrere e già sembra più lungo di un secolo intero: “In pochi anni il cristiano da missionario e aperto al dialogo diventa identitario e conflittuale, da sociale diventa individualista e burocratico, da pacifico si fa bellicoso, da cattolico e universalista diviene occidentalista. Il cristiano diventa cristianista. Il cristianismo è uno dei possibili esiti dell’11 settembre 2001. Negli Stati Uniti questa tendenza somma le battaglie pro-life, contro il progressismo ideologico dei democratici, grazie al supporto offerto dai cristiani alla guerra voluta dai teocon e dal presidente Bush contro l’Iraq di Saddam Hussein. Il cattolicesimo viene così coinvolto nella trasformazione politico religiosa che viene dagli Usa nel passaggio da Bush a Trump.” Ovviamente c’è anche l’altra parte della medaglia: la progressiva radicalizzazione ed estremizzazione del progressismo; un’ovvia conseguenza. Ma questo è solo una parte del più grande fenomeno: la vita diviene così una lotta totale nello scontro totale tra le oligarchie e il “popolo”.
A spiegarlo sono le opposte teorie complottiste. Sembrava che la pandemia fosse venuta, quasi come ultima chance, a svegliarci da questo incubo asfissiante, per ricordarci che se mangiamo è perché non siamo autosufficienti, e quindi abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Ma appena è parsa che potevamo insieme curarla è scoppiata la guerra. Questa paginetta di un libro di 400 pagine mi ha costretto a fermarmi. E tornare a Bin Laden. Il discorso di Borghesi, con elementare genialità – elementare perché evidente e geniale perché mai tentato, parte da Osama per arrivare a me, proprio a me, personalmente, per nome e cognome. Massimo Borghesi è il primo pensatore contemporaneo che mi ha fatto capire la sfida di oggi: siamo tutti caduti nella rete ideologica di Bin Laden? Ci ho pensato a lungo e mi sono sentito costretto a ritirare fuori dal cassetto della memoria quello che scrisse di Bin Laden il grande antropologo René Girard: “L’errore di sempre è di ragionare secondo le categorie della “differenza”, mentre la radice dei conflitti è piuttosto quella della “concorrenza”, la rivalità mimetica tra gli esseri, i Paesi, le culture.
La concorrenza, ossia il desiderio di imitare l’altro per ottenere la stessa cosa che ha lui, all’occorrenza anche tramite la violenza. Senza dubbio il terrorismo ha radici in un mondo “differente” dal nostro, ma ciò che suscita il terrorismo non è da ricercare in questa “differenza” che lo allontana sempre più da noi e ce lo rende inconcepibile. È al contrario da ricercare in un desiderio esacerbato di convergenza e rassomiglianza. I rapporti umani sono essenzialmente dei rapporti di imitazione, di concorrenza. Ciò che abbiamo oggi sotto gli occhi è una forma di rivalità mimetica in scala planetaria.
Quando ho letto i primi documenti di Bin Laden ed ho riscontrato i suoi accenni alle bombe americane cadute in Giappone, ho capito ad un tratto che il livello di riferimento è il pianeta intero, ben al di là dell’Islam. Sotto l’etichetta dell’Islam c’è una volontà di collegare e mobilitare tutto un terzo mondo di frustrati e di vittime nei loro rapporti di rivalità mimetica con l’Occidente. Ma nelle Torri distrutte lavoravano sia stranieri che americani. E per l’efficienza, la sofisticazione dei mezzi impiegati, la conoscenza che essi avevano degli Stati Uniti, gli autori degli attentati non erano anch’essi un po’ americani? Siamo in pieno mimetismo”.
Non è quello a cui stiamo tutti assistendo oggi? E non ne siamo noi tutti i protagonisti, nei nostri pensieri, nei nostri impulsi? Faccio l’esempio relativo al mio modo di pensare. Io ritengo Putin un pericolo globale, un esponente dei servizi segreti che trasforma le debolezza della democrazia in sue armi contundenti per riversare contro la democrazia le sue costitutive libertà. Così quando ha invaso l’Ucraina, dopo aver fatto lo stesso con Cecenia, Siria e non solo, non sarò anche arrivato a pensare, magari per un momento, che sarebbe giusto, per salvare il mondo, fare lo stesso contro di lui? E chi oggi si oppone alla guerra non ci dice in realtà che occorre fare di tutto per fermare la Nato che ha fatto su ben più larga scala quel che rimprovera a Putin? Il male in questo modo non solo diventa assoluto, ma l’insostenibilità della sfida percepita è tale da farci sentire che se non vincessimo noi allora sarebbe meglio che finisse il mondo. Tutto si assolutizza nella criminalità: “Putin è criminale”, no, “la Nato è criminale”.
È qui che si dimostra che Bin Laden è entrato dentro di noi, ci travolge nel suo mimetismo assoluto. Ecco allora che il professor Massimo Borghesi non solo ha ragione in quello che dice, ma anche in quello che fa immaginare per il tempo successivo alla stesura del suo volume e che quindi nel suo libro non c’è, ma io penso ci sarebbe stato se fosse stato scritto dopo. Scrive Borghesi: “Il papa è divenuto il nemico numero del del fronte conservatore mondiale, il capro espiatorio dei critici del mondialismo “liquido”, quello dialogante, pacifico, misericordioso, generoso verso i poveri e gli immigrati, aperto al rapporto con l’islam.”
Tutti costoro, ovviamente, non lo sono in realtà per chi li avversa, ma sono pagati da Soros, o cose così. “Siamo alla battaglia finale tra Verità o Misericordia”. Borghesi non può attualizzare questo punto angosciante con la guerra in Ucraina, ma è così. Chi è “per”? Il pacifismo in realtà è contro la Nato e Zelenski, il bellicismo in realtà è contro Putin e i suoi alleati. Ognuno cerca un modello, e lo trova nell’altro. La guerra ci sta travolgendo, a mio avviso, perché è dentro di noi. Con la sua violenza mimetica e soprattutto sacra, indisponibile. E devo ammettere che in un certo senso ho pensato che anche Borghesi potrebbe pensarla così quando ho letto, molto più in là, a pagina 155, che il cattolicesimo conciliare, quello contro la nostalgia del Sacrum imperium che di nuovo davvero ci scuote, Borghesi lo trovi in questa materia nel pensiero “sul legame ancestrale tra la violenza e il sacro, legame interrotto dal sacrificio di Cristo, ad opera del pensatore francese René Girard.”. Ma di questo vorrei occuparmi recensendo il libro. Tutto questo per dire che se vogliamo riuscire, 20 anni dopo, a liberarci di Bin Laden dovremmo ascoltare, restando noi stessi e ovunque noi ci si collochi, Francesco.