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Francesco, la sua riforma e la Chiesa in uscita

L’armonia delle diversità rimanda all’idea della Chiesa di Bergoglio: non è un’armonia che uniforma, ma esattamente il contrario. Ecco perché l’omelia di Pentecoste pronunciata questa mattina fa capire il punto fondamentale della riforma ecclesiale, relativa alla Curia Romana, che da oggi entra in vigore e nelle prossime ore vedrà annunciate importanti novità. La riflessione di Riccardo Cristiano

Quella odierna è la data in cui la Chiesa ricorda la propria nascita. È la festa di Pentecoste. Cosa cambiò in questa data? Nel giorno di Pentecoste gli apostoli erano chiusi, tutti insieme nello stesso luogo, uniti da legami profondi ma anche timori altrettanto importanti, percependo un pericolo permanente dopo la morte di Gesù. La discesa improvvisa dello Spirito Santo, il boato e le fiammelle del racconto pentecostale, portò scompiglio, li obbligò a uscire. Dunque la Chiesa nasce nell’atto di uscire. Dalla setta chiusa si passò al suo opposto.

Il fatto che gli apostoli fossero in grado di capire le diverse lingue ci porta al secondo elemento fondante: la diversità. Le diversità dalla discesa dello Spirito Santo vengono esaltate perché finalmente capite, gli apostoli capiscono tutte le lingue, non è che tutti capiscono improvvisamente la loro lingua, come fosse divenuta una sorta di lingua franca. Le diverse lingue non vengono cancellate in un’inesistente e non voluta uniformità. La diversità così recepita rende possibile l’armonia, e non potrebbe che essere così visto che senza diversità non si può immaginare alcuna armonia, ma solo uniformità.

È stato grosso modo questo il senso del primo punto dell’omelia odierna di papa Francesco. L’armonia delle diversità ci rimanda alla sua idea della Chiesa dai diversi carismi: non è un’armonia che uniforma, ma esattamente il contrario. Ecco perché questa omelia ci fa capire il punto fondamentale della riforma ecclesiale, relativa alla Curia Romana, che da oggi entra in vigore e nelle prossime ore vedrà annunciate importanti novità. La riforma degli uffici centrali della Chiesa, la Curia Romana, è basata su quanto scritto sin qui e quindi su una visione molto semplice ma molto nuova, innovativa rispetto a ciò che conosciamo: non è l’episcopato, cioè non sono i vescovi di tutto il mondo, al servizio della Curia Romana, gli uffici centrali, ma esattamente il contrario; sono gli uffici centrali al servizio dell’episcopato, cioè di tutti i vescovi del mondo. Dunque il centro sono tutte le periferie, tutte le terre famose o dimenticate, è al loro servizio che funzionano gli uffici centrali, divenendo così il servizio alla creazione della grande armonia, non il gradino più alto della scala gerarchica che dal centro armonizza le diversità come se dal centro si irradiasse l’unica, unificante parola.

Se qualcuno provasse a collegare questa visione, questa idea, al mondo globalizzato, alla nostra società mondiale fatta di diversi, politicamente, culturalmente, linguisticamente, ma unita dalla globalizzazione, ecco che vedrebbe una globalizzazione che non elimina le diversità politiche, culturali, linguistiche, ma le serve per condurle a unirsi, armonizzando le diversità riconosciute quindi compatibilizzando i diversi interessi.

I conflitti che dominano il mondo, e che non sappiamo più neanche contare, derivano da mille cause diverse che nessuno potrà armonizzare perché figlie della volontà di potenza o della paura di esclusione, della sopraffazione e della vendetta, dell’imperialismo o dell’anti-imperialismo che si fa imperialista. Ecco perché, a mio avviso, ieri sera il papa ha parlato di odio che sembra tracimare nel mondo. E quindi la sua omelia odierna, spiegando la sua Chiesa in uscita, la sua Chiesa globale, che armonizza le diversità rispettando tutte le culture, è l’indicazione di un cammino opposto a quello che sembra intrapreso da molti nella quotidianità internazionale. Una globalizzazione che non uniforma non spingerebbe a rifugiarsi nei localismi, nei nazionalismi, nei populismi.

È questo che Francesco, nell’omelia di Pentecoste, ha indicato quando ha invitato a discernere tra la voce del bene e la voce del male. Nessuno di noi, nella visione di Bergoglio, è figlio del male, o figlio del bene. Discernere vuol dire riconoscere la prima voce e non confonderla con la seconda. Il discorso, che è rivolto alla Chiesa, alla sua azione pastorale e alla nostra condotta umana personale, può essere girato alla società delle nazioni. Sacralizzare i poteri politici è il modo migliore per fare di un potere il depositario del bene contro il male. Desacralizzare i poteri politici impedisce di cadere nella tentazione di fare del nostro avversario il male assoluto. Così si capisce la frase critica pronunciata giorni fa al riguardo del patriarca di Mosca, Kirill, il chierichetto di Putin. Nessun potere deve essere sacralizzato, pena confondere la voce del male con quella del bene. Francesco però non cade nella trappola di chiamare a crociate contro i nuovi crociati, sarebbe l’estremismo che legittima la scelta estremista. Ecco perché all’Angelus ha detto di supplicare i leader del mondo di non portare l’umanità alla distruzione.

 

 

 

 


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