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Vi spiego perché i “frugali” temono il tetto al prezzo del gas

Temono misure destinate in qualche modo ad alterare il semplice tran tran del mercatismo. Ma sbagliano se pensano che alla guerra, con le sue immani catastrofi, si può rispondere con il manuale del perfetto liberista

Quanta indecisione, ma soprattutto quanta cattiva ideologia. Vi può essere un’urgenza economica ed un relativo lassismo della politica? Sembrerebbe di sì: almeno a giudicare della fumata nera che ha accompagnato la richiesta di Mario Draghi sul price cap da utilizzare per le forniture di gas.

Del problema si stava parlando da mesi. Si pensava quindi che i tempi fossero maturi per giungere quanto prima, nel mese di luglio, ad un vertice europeo straordinario per la necessaria decisione. Ed invece un ulteriore rinvio che rischia di far chiudere le stalle una volta che i buoi sono da tempo fuggiti. La data del prossimo ottobre è la meno indicata per discutere di un problema – lo stoccaggio proprio in vista dell’inverno – che invece doveva essere affrontato con una ben diversa tempestività.

Ad opporsi i soliti, capeggiati dall’Olanda, seguita dalla Svezia e la Danimarca, sotto lo sguardo imbarazzato di uno Olaf Scholz, il leader socialdemocratico tedesco, che ha deciso di voltare la testa da un’altra parte. Inutili, almeno al momento, le insistenze di Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Se ne riparlerà in occasione del vertice del G7, a Schloss Elmau, in Germania, che si aprirà tra qualche ora. E dove saranno anche gli Stati Uniti ad insistere, seppure il loro interesse si concentra, prevalentemente, sul petrolio.

Negli Usa il surriscaldamento congiunturale è evidente. L’inflazione ha raggiunto un livello record, che non si vedeva da diversi anni. Il tasso di disoccupazione è al di sotto dei livelli frizionali. Il rischio che si inneschi una spirale prezzi – salari non é da escludere, nonostante i tentativi della FED di frenare la domanda (che spinge in alto i prezzi) con una politica monetaria sempre meno permissiva. A sua volta destinata non solo ad avere effetti negativi sul mercato interno americano, ma a contagiare le altre grandi aree monetarie. Compresa, ovviamente, l’Eurozona.

Una delle componenti non secondarie della spinta inflazionistica è proprio attribuibile ai prezzi dell’energia. Il prezzo del Brent, il petrolio più venduto sul mercato americano, in un solo anno é aumentato del 62 per cento, passando da una media mensile di 64,72 dollari al barile (aprile 2021) a 104,89, esattamente un anno dopo. Ultima quotazione 113,19. Calmierarlo con un price cap potrebbe avere un effetto benefico, spingendo la stessa FED verso un atteggiamento più conciliante.

Rispetto a quei valori, il prezzo del gas è addirittura volato in paradiso, con un aumento, nello stesso periodo, del 320 per cento: da 0,229 euro a mc, a 0,961. L’introduzione del price cap potrebbe ridurre il prezzo del gas dagli attuali 132 euro per megawatt ora ad 80. Con una riduzione del 40 per cento. Anche in questo caso, tuttavia, l’aumento rispetto ad un anno fa sarebbe, comunque, superiore al 150 per cento. Quasi tre volte l’incremento del prezzo del petrolio. Non esattamente un esproprio nei confronti di Vladimir Putin.

È realistica questa proposta? Se fosse così le paure manifestate dal gruppo dei “frugali” sarebbero senza consistenza. L’Europa può vantare nei confronti della Russia, nel campo delle forniture di gas, una posizione di monopsonio. Che è la posizione rovesciata rispetto al monopolio. In quest’ultimo caso il potere è nelle mani del produttore. Nel primo nel cartello dei consumatori. Il trasporto del gas verso l’Europa avviene attraverso i diversi gasdotti. Impianti che, in caso di scarso utilizzo, comporterebbero perdite rilevanti. Il compromesso proposto degli 80 euro a Mgw è quindi una proposta equilibrata che una persona, con un minimo di cervello, non dovrebbe lasciarsi sfuggire.

Putin potrebbe cercare clienti alternativi? In parte lo sta facendo, specie con la Cina. Ma quel mercato, per quanto importante, non ha certo la dimensione di quello europeo. Mentre le ulteriori vendite a favore dei Brics, come anticipato, lasciano un po’ il tempo che trovano. Al momento non esistono infrastrutture fisse adeguate. E nella maggior parte dei casi non potranno esistere. Si può ovviamente procedere con le navi gasiere. Ma a costi estremamente elevati, non solo per il nolo. Considerato il balzo intervenuto nelle premi di assicurazione.

Tutto quindi congiurerebbe verso un possibile intervento. La verità è che i “frugali” temono i rischi di una possibile deriva. Che si torni a parlare di un Recovery Fund 2.0, seppure limitato ai soli prestiti. Oppure di misure da prendere per evitare la segmentazione dei mercati, in tema di politica monetaria. Insomma di misure destinate in qualche modo ad alterare il semplice tran tran del mercatismo. Come se alla guerra, con le sue immani catastrofi, si potesse rispondere con il manuale del perfetto liberista.

Nel frattempo, l’Italia è riuscita a ridurre la sua dipendenza dal gas russo dal 40 al 25 per cento. Una buona notizia. Resta, pertanto, solo da capire quali siano state le ragioni che portarono nel 2010 a privilegiare quella fornitura. Proprio in quell’anno, secondo i dati forniti dal Ministero per lo sviluppo economico, le importazioni di gas dalla Russia erano crollate. Scendendo a 14,964 miliardi di mc su 75,354 (19,8%) per raggiungere, invece, nel 2019, i 33,449 miliardi su 71,065. Con una percentuale del 47,1 per cento. Un incremento superiore al 100 per cento, che qualcuno dovrebbe, in qualche modo, giustificare.

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