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Intelligenza artificiale, l’Italia a che punto sta? Uno sguardo (euroatlantico)

Ia ue usa

Tra regole e sviluppo, le due sponde dell’Atlantico non potrebbero essere più diverse nel loro approccio all’intelligenza artificiale. Ma il Consiglio commercio e tecnologia potrebbe rivelarsi la cerniera che manca alle economie di entrambe per primeggiare nel confronto con le tecno-autocrazie

Nella corsa globale verso l’intelligenza artificiale (IA), l’Italia è al quattordicesimo posto. Il rapporto annuale di Stanford misura la percentuale di popolazione che è capace di affidarsi all’IA per svolgere il proprio lavoro. Il calcolo è approssimativo (si basa sulla frequenza con cui gli utenti di LinkedIn aggiungono la voce “IA” tra le proprie skill) ma utile per fotografare l’evoluzione digitale dei Paesi in un un campo della tecnologia che ha implicazioni sempre più strategiche.

La classifica è dominata dall’India, con gli Stati Uniti al secondo posto, la Germania al terzo, la Cina al quarto, Israele al quinto. I dieci Paesi successivi si collocano praticamente tutti nell’Occidente geopolitico. Può sorprendere, dunque, che nell’ultimo decennio il maggior numero di collaborazioni transnazionali sia avvenuto tra Cina e Usa. Questo perché sono i due Paesi che spendono di più in ricerca (6,8 e 5,1 miliardi, rispettivamente) e gli accademici collaborano profusamente, nonostante la tensione nelle relazioni bilaterali.

Di contro, l’intera Ue spende complessivamente un solo miliardo all’anno in ricerca e sviluppo. Vuole diventare leader nell’ambito regolatorio, ma la legislazione di riferimento – detta AI Act – è in ritardo sulla tabella di marcia. Gli Usa, invece, non sono particolarmente ansiosi di studiare nuove leggi e imporre nuovi limiti, specie per via del timore che la Cina possa avvantaggiarsi. Intanto i ricercatori cinesi dipendono moltissimo dai sistemi di IA “aperti” e sviluppati in seno agli States.

Gli approcci sembrano totalmente diversi. Tuttavia, il fronte euroatlantico sull’IA è più consolidato di quanto non sembri. L’ultimo consiglio commercio e tecnologia (Ttc) tra Ue e Usa ha dimostrato che gli alleati occidentali stanno aumentando il coordinamento sulle frontiere ad alta tecnologia, nell’ottica di creare una risposta al tecno-autoritarismo. E se negli ultimi mesi questa collaborazione ha prodotto sanzioni coordinate per indebolire la capacità tecnologica della Russia, nei prossimi mesi dovrebbe portare alla luce degli strumenti per contrastare la Cina.

La collaborazione in chiave IA del Ttc ha toccato anche gli standard democratici e basati su regole, per stabilire standard etici e contrastare l’uso improprio delle tecnologie digitali da parte di governi autoritari. Per questo da qui alla prossima riunione del Ttc Washington e Bruxelles vogliono esplorare i punti in comune dei loro approcci all’IA e combinare le forze nei forum internazionali per innestare i valori condivisi – perché alla fine di quello si tratta – nelle fondamenta dei sistemi IA del domani. Come hanno già fatto con la raccomandazione dell’Ocse e come emerge dal rapporto di Stanford, secondo cui si moltiplicano le pubblicazioni scientifiche che esplorano il versante etico dell’utilizzo dell’IA.

Scrive Mark Scott (Politico Digital Bridge) che se Europa e Stati Uniti riuscissero a concordare i princìpi di base su come dovrebbe funzionare l’IA, quali dovrebbero essere i limiti legali e quali gli standard tecnici, “sarebbe una vittoria importante per la regolamentazione digitale transatlantica. Avrebbe anche il vantaggio di permettere a ciascuna delle due parti di continuare a seguire i propri percorsi legislativi, purché si attengano ai principi di base contenuti nei principi Ocse.” Se i binari sono i medesimi, allora lo sforzo legislativo europeo e quello di ricerca americano sono essenzialmente complementari. E in questo “campo largo” c’è un posto naturale anche per l’India.

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