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L’insostenibile freddezza dell’interesse. Il punto di Alegi

Nel 1861 liberare gli schiavi a rischio di una guerra era negli interessi degli Stati Uniti? È la domanda che scaturisce dall’editoriale con cui Domenico Quirico su La Stampa sostiene che l’interesse dell’Occidente risieda nel commerciare con Putin. In altre parole, la scelta di difendere l’indipendenza e integrità dell’Ucraina dipende solo dalla diabolica capacità di Zelensky di suscitare emozioni?

“Da avvocato, dovrebbe sapere che la Corte del Missouri ha già sancito che uno schiavo non diventa libero per il fatto di risiedere nell’Illinois libero”, disse il senatore al neo-eletto presidente, parlandogli come a uno scolaretto. La Corte Suprema ha già sentenziato che un nero, libero o schiavo che sia, non può essere cittadino degli Stati Uniti. E quella stessa Corte ha deciso che il Congresso non può liberare gli schiavi nei territori federali”.

Lincoln tese le orecchie, per capire dove Calhoun volesse andare a parare.

“Non abbiamo alcun interesse nel liberare gli schiavi, signor Lincoln. La decisione spezzerebbe in due la nazione. Potrebbe persino scatenare una guerra civile.”

“Mi ha convinto – disse Lincoln – domani annuncerò che sostengo la sua proposta di tutelare la schiavitù con un apposito emendamento”.

La storia ci insegna che questa conversazione non ha mai avuto luogo. La decisione della Corte Suprema nel caso Dred Scott contro Sandford è vera, la proposta di emendamento pro-schiavitù di Calhoun è vera, il rischio di secessione era tanto vero da materializzarsi tra il dicembre 1860 e l’aprile 1861. Nonostante questo, Lincoln rifiutò di riconoscere la secessione.
Ciò scatenò la guerra più sanguinosa dell’intera storia degli Stati Uniti. Ma innovò l’idea stessa di democrazia, introducendo il concetto di “governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo” e trasformò gli schiavi in cittadini con pari diritti, per quanto difficili da applicare.

L’ammuffita provincia del Mefistofele ucraino

A far tornare in mente il lucido coraggio di Lincoln sulla schiavitù è l’editoriale di Domenico Quirico su La Stampa di sabato 25 giugno. L’inviato mette sulla bilancia “irrimediabili sviluppi atomici” da una parte e gli “evidenti e immediati vantaggi, ad esempio sul piano dei vitali rifornimenti energetici” dall’altra, riducendo a “emozioni” gli allarmi sulla politica espansionista di Mosca e definendo, per soprammercato, “ammuffita provincia dell’Ucraina” il Donbass i cui borghi grandi e piccoli l’artiglieria di Putin sta spianando a uno a uno. Per Quirico, Putin è “una personalità dispotica e crudele”, ma “anche un realista”. Questo assunto gli è sufficiente per attribuire alla manipolazione emotiva di Zelensky (definito, en passant, “abile Mefistofele ucraino”) l’idea che “il vero boccone che Putin vuole inghiottire non è Kiev ma il vecchio continente e forse il mondo”.

Questa dimostrazione è talmente rigorosa da consentire di saltare a piè pari i timori dei Paesi dell’Europa orientale già passati nella sfera occidentale (Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania), ma anche di quelli che cercano una tutela europea (oltre all’Ucraina, anche Moldova e Georgia) e persino delle nazioni che in occidente ci sono già (come le neutralissime Svezia e Finlandia). Di più: l’assunto è tanto inattaccabile da non richiedere neppure di smentire le affermazioni putiniane sulla dissoluzione dell’Unione sovietica quale disgrazia storica, sulla necessità di (ri)creare un russky mir, sull’errore storico dell’Urss nel dar vita all’artificiale nazione ucraina. A meno che, naturalmente, non sia a questo che Quirico si riferisce quando afferma che Putin “conosce i limiti pratici alla sua aspirazione di giustiziere, di esecutore delle sentenze della storia”.

In questa furiosa galoppata, il blocco delle esportazioni di grano dall’Ucraina non è colpa della Russia che invade, ma dell’Occidente che sostiene Zelensky, così come le “malvagità abominevoli subite da popolazioni dei Paesi cosiddetti sottosviluppati” (e non v’è dubbio che siano moltissime) rendono oggi emozione, e non etica, la difesa occidentale di Kiev.

Con Lincoln o con Jefferson Davis?

Addio sovranità territoriale, addio inviolabilità dei confini, addio indipendenza politica. Salvo il tono furioso e la testata, solitamente filo-governativa, Quirico non aggiunge molto al dibattito sulla guerra in Ucraina. La salsa è più terzomondista che filorussa, ma la conclusione è evidente sin dalle prime righe: come può essere Zelensky a decidere “quale deve essere la pace che lo accontenta?”.

Una volta fissata l’asticella etica tanto in alto da renderla insuperabile, una volta ignorate le dichiarazioni scomodamente esplicite di Putin (e Lavrov, e Medvedev, e Kirill, e fermiamoci qui), l’analisi si può ridurre alla falsa dicotomia tra interessi (nel senso più bieco di convenienza economica) ed emozioni, additando come saggia la linea adottata dai paesi occidentali “badando ai loro interessi immediati” a fronte dell’occupazione di Crimea e Donbass: “l’elemosina, come nel 2014, di qualche minuscola, innocua sanzione”.

Può darsi che Quirico abbia ragione, naturalmente. Ma per deciderlo bisognerebbe prima concordare che nel 1939 non fosse nell’interesse occidentale opporsi all’attacco nazista alla Polonia e alla sua spartizione tra Germania e Urss. Che nel 1979 non fosse etico schierarsi contro il regime razzista di Smith per far precipitare l’attuale Zimbabwe nella sua profondissima crisi economica. Che nel 1987 fosse nell’interesse nazionale rinunciare all’energia nucleare per dover poi smantellare un settore industriale e dipendere dal gas russo. O che nel 1861 non fosse nell’interesse degli Usa accettare una guerra per liberare i neri che fino ad allora aveva strappato alle loro case, brutalizzato, sfruttato per mantenere in piedi l’economia agricola del Sud, edificare le splendide case dei latifondisti, mandarne i rampolli nelle migliori scuole del Paese.

Per la cronaca, la guerra costò all’America 620mila morti: più delle due guerre mondiali, del Vietnam e della Corea messe insieme. Nonostante questo, la discutibile gestione del dopoguerra e gli oltre 140 anni d’attesa per un presidente di colore, resto convinto che l’interesse degli schiavisti di Jefferson Davis valga meno dell’etica di Lincoln. Mi piace credere che, una volta depurato dalle emozioni di oggi, Quirico sia d’accordo con me.

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