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Kirill manda in esilio il suo numero 2. Un arroccamento per non isolarsi

Fino allo scoppio della guerra era l’uomo-ovunque della Chiesa ortodossa russa. Veniva spessissimo a Roma, i rapporti con il Vaticano erano solidi soprattutto per lui e attraverso di lui. Ma non solo con il Vaticano. Ora il metropolita Hilarion, responsabile delle relazioni internazionali della Chiesa moscovita, è stato trasferito in Ungheria

Che ora sia a Mosca lo chiarisce a tutti il sinodo della Chiesa ortodossa Russa. È infatti stata pubblicata senza alcuna smentita la notizia della rimozione del numero due del patriarcato, il metropolita Hilarion, responsabile delle relazioni internazionali della Chiesa moscovita. È stato trasferito all’estero, in Ungheria. Fino allo scoppio della guerra era l’uomo-ovunque della Chiesa ortodossa russa. Veniva spessissimo a Roma, i rapporti con il Vaticano erano solidi soprattutto per lui e attraverso di lui. Ma non solo con il Vaticano.

Le difficili relazioni internazionali di una Chiesa nazionalista come quella di Kirill, il patriarca che ha imposto l’idea di “mondo russo” per unire sotto Mosca la Russia stessa, l’Ucraina e la Bielorussia, si chiamano con un nome solo, “Hilarion”. Un algido comunicato di poche righe di cui riferisce l’Orthodox Times informa della decisione del sinodo, attribuendola al patriarca, come è ovvio.

Già noto il nome del suo successore, il metropolita Anthony.

Per capire chi sia dall’inizio del conflitto il metropolita Hilarion basta leggere questo brano del recente articolo sulla guerra di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, che lo cita così: “Eppure, il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, in una trasmissione radiofonica del 29 gennaio sul canale Russia 24, aveva espresso preoccupazione per ciò che stava succedendo. Dopo aver ricordato che «in America, in Ucraina e in Russia ci sono politici che credono che la guerra sia la decisione giusta in questa situazione», ha elencato i motivi per i quali si è detto «profondamente convinto che la guerra non sia un metodo per risolvere i problemi politici accumulati». E in un’altra trasmissione ha pure evocato Rasputin, che aveva avvertito lo zar che «se la Russia fosse entrata in guerra, avrebbe minacciato l’intero Paese con conseguenze catastrofiche», arrivando non solamente alla perdita di parte delle terre russe, ma anche della «Russia in quanto tale». Parole forti, bisogna riconoscere, e poco note”.

La nota finale del direttore de La Civiltà Cattolica è oggi particolarmente significativa e amara. I cosiddetti pontieri, o altrimenti detti moderati, o diciamo gli interlocutori di un possibile dialogo, finiscono facilmente con l’essere rimossi in patria, che ci può stare, ma anche ignorati fuori, il che è meno logico. Se non fosse vero, come io temo, che ogni estremismo è funzionale, all’altro.

Si può dunque ritenere che la concomitanza tra le affermazioni almeno effervescenti di Medvedev di cui sono pieni tutti i giornali di oggi e la rimozione di Hilarion, stando a questo articolo non smentito, indichino che questa a Mosca è l’ora del bunker.

Ma la destinazione apre uno spiraglio nuovo da considerare. Andando nell’amica Ungheria, dove governa Orban, Hilarion, a differenza di ogni dirigente russo, arriva in Europa, potrà continuare a viaggiare. È un aspetto tecnico da considerare con attenzione. Il bunker non poteva accettare un dissenso così qualificato, ma il dissidente, il moderato, può svolgere un lavoro, solo ufficioso. Non tutto si sarebbe rotto, allora. Ma il filo, che risolve un problema di relazioni anche con gli altri alleati di Mosca, come i serbi ad esempio, è molte esile.

Questa modalità, nelle ore di un’esternazione sopra le righe e una rimozione eccellente, non può passare inosservata.

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