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Francia alle urne. Macron reggerà l’urto? Il commento di Malgieri

Per il Presidente, per il suo governo, vincere questa prova è fondamentale allo scopo di poter governare con una certa tranquillità e fronteggiare le crisi di legalità che già si paventano, un po’ come accadde con i gilets jaunes che segnarono la prima parte del mandato macroniano con scombussolamenti nell’esecutivo e caduta nei sondaggi di opinione. L’analisi di Gennaro Malgieri

Gli elettori francesi, non ancora smaltita la sbornia delle presidenziali, il 12 e 19 giugno saranno chiamati a rinnovare i 577 deputati dell’Assemblea Nazionale. Emmanuel Macron attende fiducioso, ancorché con qualche apprensione, la conferma del suo successo, pur immaginando che sarà più difficile. Il meccanismo elettorale è complesso e lascia larghi margini alle coalizioni sia al primo che al secondo turno.

I deputati, infatti vengono eletti in collegi uninominali a doppio turno. Al primo prevale chi ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi e i suffragi di almeno il 25% degli elettori. Se nessuno raggiunge tali soglie, la domenica successiva i candidati che hanno ottenuto almeno il 12% dei consensi rispetto al totale dell’elettorato, e non dei votanti, si cimentano in un secondo turno nel quale vince chi prende il maggior numero di voti: gli sfidanti, dunque, a differenza delle presidenziali, possono quindi essere più di due.

Non sarà pertanto facile per Macron assicurarsi la vittoria anche perché, a differenza di cinque anni fa, egli non planerà sull’elettorato con le ali aperte del trionfo, ma con un ben più che modesto 58,6%. Il che vuol dire dover sudare le classiche sette camicie per riaffermare la maggioranza all’Assemblea nazionale, cosa che nel 2017 sembrò uno scherzo da ragazzi, complice una sinistra sbandata ed una destra bastonata sonoramente tanto da portare in Parlamento soltanto sei deputati.

È anche per questo che Macron si è attrezzato diversamente, al fine di respingere le onde contrapposte dei due schieramenti che maggiormente lo impensieriscono. Per lui, per il suo governo, vincere questa prova è fondamentale allo scopo di poter governare con una certa tranquillità e fronteggiare le crisi di legalità che già si paventano, un po’ come accadde con l’apparizione, a pochi mesi dall’insediamento all’Eliseo, dei gilets jaunes che segnarono la prima parte del mandato macroniano con scombussolamenti nell’esecutivo e caduta nei sondaggi di opinione.

All’epoca resse in Parlamento grazie a una consistente maggioranza, ma oggi non si sa. La soglia dei 347 seggi sembra lontana, mentre i neo gollisti languono e sembrano molto meglio attrezzati tanto la sinistra tradizionale che la destra nazionale. Sarà per questo che il Rassemblement di Macron, imperniato su La République en Marche! conta su un discreto numero di piccoli partiti a supporto arruolati soprattutto per fronteggiare sorprese sgradite in particolare nei dipartimenti periferici, di marca centrista o di centrosinistra moderato: l’inedito schieramento si chiama Ensemble. E con l’aiuto di “Insieme”, vale a dire di chi non si riconosce né a sinistra, né a destra, Macron conta di ripetere l’exploit di cinque anni fa.

Deve comunque fare i conti con una singolare alleanza, ben radicata all’estrema sinistra dello schieramento politico, dal nome Nupes, nella quale stanno insieme il Partito Comunista, il Partito Socialista, ecologisti vari ed il partito di Jean-Luc Mélenchon France Insoumise. Alle presidenziali ognuno si presentò da solo; alle legislative vorrebbero fare il botto uniti. E non è detto che non riescano dal momento che i sondaggi di opinione li accreditano non proprio lontani dal gruppo di Macron e ben più su delle destre di Marine Le Pen e di Reconquête capeggiato da Éric Zemmour.

Entrambi i paladini della “preferenza nazionale” stanno commettendo l’ennesimo errore. Si detestano e lo dimostrano. Invece di unirsi allo scopo di raggranellare almeno i consensi che gli garantiscano il secondo posto e quindi almeno un centinaio di seggi all’Assemblea nazionale, si trattano come nemici/competitori.

Gli ultimi sondaggi elaborati dagli istituti di ricerca demoscopica, indicano che l’alleanza di sinistra Nupes potrebbe ottenere la maggioranza dei voti con una percentuale compresa tra il 27 e il 31 per cento, mentre al secondo posto dovrebbe esserci l’Ensemble di Macron con il 26-27 per cento dei consensi, per molti opinionisti è impensabile. Il terzo posto viene pronosticato al Rassemblement National con il 20-23%, mentre intorno al 10% ci sarebbe l’alleanza di centrodestra formata dai Repubblicani e dall’Udi, il partito centrista vocato a portatore marginale di voti. Se questo dovesse accadere è probabile che Mélenchon rivendichi, anche in virtù dell’appoggio dato a Macron al ballottaggio, la poltrona di primo ministro. Una ipotesi tutt’altro che campata in aria che manderebbe a monte il progetto di governo costruito attorno a Élisabeth Borne, appena nominata primo ministro al posto di Jean Castex.

Borne in passato aveva militato nel Partito Socialista e durante il primo mandato di Macron è stata ministra della Transizione ecologica prima e del Lavoro poi. Elabe, a differenza di altri istituti demoscopici, ha stimato, traducendo le percentuali in consensi reali, che le elezioni potrebbero concludersi con 290-330 seggi per Macron, 160-185 per l’alleanza di sinistra, 25-50 per i Repubblicani e 35-65 per il Rassemblement national. Opinion Way la pensa diversamente: potrebbe finire a 310-350 per l’Ensemble, 150-170 per la Nupes, 50-70 per il centrodestra e 15-35 per il RN. Reconquête non pervenuto, e pensare che Zemmour aveva costruito tutta la sua strategia in vista di un’affermazione alle legislative, interprete della Francia profonda e rurale. Ma quando ci si mette di mezzo la gelosia, in politica tutto diventa più difficile. In due domeniche può accadere l’impensabile: perfino che il presidente debba fare i conti con la sinistra e rivedere i suoi piani. Macron deve vincere (e bene) per governare, dunque. I suoi più prossimi avversari non devono perdere con distacchi incolmabili se vogliono esercitare un efficace potere di condizionamento. L’incertezza è vasta. La Francia, con un pensiero alla guerra e un altro alla non brillante situazione economica, si appresta all’ennesima prova politica dalla quale potrebbe dipendere il destino della Presidenza.

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