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I tre messaggi che Draghi, Macron e Scholz devono mandare a Mosca (e al mondo)

Non ci sarà la crisi politica in Europa, la spaccatura del fronte anti russo nel vecchio continente. Non c’è stato all’inizio del conflitto, molto più difficile che ci sia ora quando c’è tanto in ballo. Gas e grano sono due problemi seri ma affrontabili. Il problema sono le esitazioni, le incertezze, le voci stonate che rimbalzano a Mosca. Ecco cosa dovranno dire nel loro viaggio a Kiev i tre leader europei

La guerra in Ucraina è ibrida, integrata su molti fronti probabilmente molto più di tutte le guerre del passato. Per affrontarla quindi, bisogna osservarne i vari elementi.
La Russia del presidente Vladimir Putin vuole una vittoria militare chiara sul campo, che ancora oggi, dopo quasi quattro mesi di combattimento, non ha. Un ostacolo formidabile a ciò sono le forniture di armi occidentali agli Ucraini, che danno mezzi materiali e sostegno psicologico a Kiev.

Tagliare queste forniture potrebbe dare un vantaggio importante a Mosca. Certo non sarebbe risolutivo, perché ormai è chiara la determinazione ucraina a battersi fino all’ultimo. Ma in uno scontro di attrito, dove i russi non fanno più prigionieri ma radono al suolo città e villaggi per spopolarli, la mancanza o abbondanza di artiglieria da una delle parti gioca un ruolo molto importante.

Le armi che Putin usa contro queste forniture sono le vecchie semine di zizzania in occidente.
Il rincaro del gas, del grano portano a rialzi generalizzati del costo della vita in occidente, e ripresentano la realtà dell’inflazione, fugata altrimenti da 40 anni. Certo non sono gli unici elementi, c’è anche la conseguenza della montagna di denaro messa in circolazione durante la crisi del Covid, ma su questa benzina la crisi del gas e del grano sono incendiari.

Questi fenomeni a loro volta dicono agli elettori delle democrazie occidentali: perché dovete pagare il conto sulla vostra vita per una guerra in Ucraina che non vi interessa? Il messaggio è passato direttamente, attraverso agenti provocatori, o persone che lo pensano legittimamente. Ma non importa il “come”, l’importante è la domanda, legittima e vera: perché l’Europa deve pagare un prezzo per aiutare gli Ucraini contro i russi?

La risposta nell’Europa ex sovietica, preoccupata dell’avanzata russa a ovest, è ovvia: per mantenere la nostra libertà. Si combatte a Kiev per non combattere a Varsavia o a Praga. In America, patria del mito della libertà, lontana migliaia di km dal fronte e senza timori di penurie di energia o grano, la risposta è anche facile: bisogna fermare il dispotismo dove si può.

Meno ovvia è la risposta in Europa occidentale abituata da 30 anni all’idea che Mosca non è poi un pericolo e che gli ex satelliti sovietici possono essere più fastidiosi della stessa Russia.
Eppure in questa fase della guerra, quando i tassi cominciano a impennarsi serve una risposta. Altrimenti parte la crisi economica in Italia o Germania, l’Europa esita, le forniture militari si assottigliano, le sorti della battaglia in Ucraina si rovesciano, e in forse poco tempo la guerra si estende anche oltre l’Ucraina mentre la Eu è in crollo, impazzita.

In realtà non ci sarà la crisi politica in Europa, la spaccatura del fronte anti russo nel vecchio continente. Non c’è stato all’inizio del conflitto, molto più difficile che ci sia ora quando c’è tanto in ballo. Ma le esitazioni, le incertezze, le voci stonate rimbalzano a Mosca e possono creare un senso di falsa fiducia che a sua volta da sostegno e respiro alla guerra in Ucraina.

Per questo bisogna forse tornare alla base, con risposte da fumetto, utili a inquadrare la vicenda.
Il grano: il mondo ne produce più del necessario. Paesi come Argentina, Usa, Canada o Brasile possono ciascuno da solo sfamare tutto il pianeta. Il problema è contingente, su tempi del prossimo raccolto e semina, ma ci sono comunque scorte almeno fino alla fine dell’anno.

Sì, tutti sarebbero tranquilli se il raccolto ucraino arrivasse sul mercato, ma anche la minaccia di bloccarlo è debole, perché la flotta russa è fragile e pochi missili potrebbero affondarla. Certo, a quel punto la guerra si alzerebbe di tono, ma in realtà nessuno ha interesse a peggiorare il tutto. Già oggi il mondo può affrontare i prossimi mesi.

Il gas è più complesso. Anche qui però non è una questione di vita o di morte. Nel mondo c’è più gas che acqua minerale, e infatti quest’ultima costa di più. Il problema è che ce n’è così tanto che i nuovi giacimenti non sono esplorati per timore di fare crollare il prezzo. Però è comodo usare il gas che esce da un tubo costruito decenni fa e che oggi non costa niente.
Servono quindi uno-due anni per sostituire le forniture di gas russo con gas che viene da altre parti del mondo, o anche dall’Italia. Di più se l’Italia e l’Europa decidono di perseguire una strategia di autonomia energetica strategica e cominciano a costruire centrali nucleari.
Ma anche qui, pure nel breve, non ci sono problemi insolubili, anche se sono gravi. Ci sono scorte e i governi hanno approntato misure di rifornimenti alternativi.

Il discrimine è il panico, che potrebbe generare, come sta generando, allarme sui mercati.
Qui il punto vero è la durata della guerra. Uno scontro di attrito, lento, che fa terra bruciata allora diventa cruciale non per il fronte ucraino ma per il fronte italiano, francese o tedesco. Se anche l’armata russa non ottiene successi militari sul campo, l’eco delle cannonate rimbomba in Europa occidentale. Essa scuote la determinazione alle forniture all’Ucraina e aiuta a dipanare il nodo in cui si è cacciato Mosca. Questa soluzione però, come abbiamo visto, affonderebbe l’Europa sotto Mosca.

Per questo sono necessari tre messaggi che sono poi autentici, veri da Roma, Berlino e Parigi:
1. La guerra sta finendo. Sta finendo perché la Russia è a corto di uomini, muoiono buriati, osseti, ceceni ma non russi. Non può annunciare una mobilitazione generale che ammetterebbe la sconfitta della “operazione speciale”; il fronte interno è più spaccato che in occidente. La fine arriverà, tra un giorno o tra un anno ma Mosca non ce la fa. La prova è che la Russia spera nelle esitazioni e le crisi del fronte occidentale.

2. Tutti vogliono la stabilità della Russia. Una crisi profonda della Russia, come 30 anni fa ci fu quella dell’Urss, sarebbe pericolosissima. Essa non è nell’interesse di nessuno. In questa stabilità russa ci può essere Putin o meno. Questi sono fatti dei russi, non dei francesi che tifano per lui o degli americani che potrebbero essere contro di lui.

3. Una soluzione è in vista. Alla luce dei punti 1. e 2. È quindi chiaro che nessuno ha interesse a allungare uno stallo che consuma tutti ma soprattutto i russi.

Questi tre messaggi aiuterebbero a calmare i mercati del gas e del grano e quindi aiuterebbero anche far passare il tetto dei prezzi sul gas, proposto dal premier Mario Draghi, e su cui ancora alcuni europei esitano.
Se ciò avviene, da una parte il panico si alleggerisce, le speranze russe di una svolta in guerra si affievoliscono e la pace si avvicina. Si potrebbe ragionevolmente pensare a un orizzonte di qualche settimana o mese per spegnere le fiamme della guerra.
Il pallino però è nella vecchia Europa forse, non a Mosca.


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