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Quanto è credibile la minaccia nucleare russa

La minaccia nucleare russa accompagna il dossier ucraino sin da prima che esplodesse il conflitto. Mosca cerca di controllare il pulsante dell’escalation e l’Occidente vuole evitare rischi andando a vedere se Putin bluffa o meno.

Quando venerdì 17 giugno, durante un discorso al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, è stato chiesto a Vladimir Putin un commento sui rischi di una guerra nucleare e di una terza guerra mondiale, il presidente russo ha risposto: “Dovremmo rimanere in silenzio? Stiamo rispondendo in modo corrispondente (alle dichiarazioni occidentali, ndr). Non appena risponderemo, prenderanno spunto dalle nostre parole per dire: guardate, la Russia ci sta minacciando. Noi non stiamo minacciando nessuno, ma tutti dovrebbero sapere cosa abbiamo (armi atomiche, ndr) e cosa useremo per difendere la nostra sovranità. Sono cose ovvie”.

Le minacce nucleari russe non sono nuove, avevano preceduto la guerra in Ucraina e non sono diminuite, analizza in un report Stephen Blank, senior fellow al Foreign Policy Research Institute (FPRI). Queste minacce influenzano le risposte occidentali alla guerra, poiché si basano su precondizioni e su esercitazioni che dimostrano che la Russia potrebbe decidere di usare le armi nucleari in un conflitto convenzionale per costringere ad accettare le condizioni che reputa necessario raggiungere per ottenere la vittoria.

L’ansia pervasiva per l’uso delle armi nucleari russe ha limitato gli sforzi di soccorso dell’Occidente, ad esempio la campagna per la creazione di una no-fly zone o per l’invio di aerei ucraini. Ciò che Blank analizza è un tema di attualità, che tocca sia la politica sia le collettività occidentali — e dunque influenza le decisioni dei governi. Questa forma di moderazione occidentale ha incoraggiato le ripetute e sfrenate minacce russe di uso del nucleare, considerate intrinsecamente credibili. All’opposto, sembra paradossale che la deterrenza occidentale non è vista come altrettanto credibile.

Questa tendenza destabilizza l’equilibrio della deterrenza ed è frutto di una battaglia narrativa che il Cremlino ha ingaggiato da tempo con il fine — attraverso azioni dirette e indirette — di alterare le percezioni, diffondere disinformazione, dirigere le traiettorie del dibattito. Dati che emergono anche nell’ultimo sondaggio Ecfr. Lo studio condotto in 10 Paesi spiega che l’opinione pubblica europea è divisa tra chi vuole “pace” (35%) e chi “giustizia” (22%). La maggioranza degli europei vuole che la guerra finisca il prima possibile, anche in caso di perdite territoriali per l’Ucraina. A preoccupare maggiormente i cittadini Ue intervistati c’è il caro vita alla pari del rischio che la Russia ricorra alle armi nucleari.

Come ha scritto Dmitry Adamsky nella ricerca “Cross-Domain Strategy: The Current Russian Art of Strategy”, pubblicata dall’Institut Francais Des Relations Internationales (IFRI), “i pianificatori militari russi hanno pensato a un’ampia gamma di versioni aggiornate e nuove di armi nucleari, il che suggerisce che la vera dottrina russa va oltre la deterrenza di base e si orienta verso strategie di lotta regionale o addirittura verso armi che causano terrore”.

Pertanto, secondo Adamsky, la strategia russa in materia di armi nucleari, così come si è manifestata in Ucraina, mira a obiettivi interrelati: intimidire e dissuadere qualsiasi reazione della Nato al combattimento; ottenere e mantenere il dominio dell’escalation e quindi l’iniziativa strategica e la libertà d’azione in tutte le fasi di una crisi; creare in teoria, se non anche operativamente, una rete ininterrotta di minacce ai nemici russi da armi convenzionali e nucleari per mantenere il controllo della situazione.

La Russia ha ripetutamente invocato le minacce nucleari come parte della sua strategia generale, prima dell’invasione dell’Ucraina e successivamente. Il ricorso a queste è fondamentale per la strategia russa e sostiene la priorità data a tale genere di armi nell’approvvigionamento russo — anche perché sono l’elemento che da forza a un insieme tecnologico non a livello di quelli occidentali. Inoltre, come accennato, questa strategia ha avuto successo nello spingere la Nato verso una posizione di coinvolgimento limitato: anche se la Russia non utilizzerà le armi nucleari è probabile che abbia ottenuto una certa influenza sul processo decisionale degli alleati.

Un altro esempio: un nuovo accordo delle Nazioni Unite — il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) — è entrato in vigore nel 2021 rendendo le armi nucleari illegali nei Paesi che lo firmano. Dal 21 al 23 giugno, a Vienna ci sarà il primo incontro (1MSP) degli Stati che hanno ratificato il trattato, per discutere il seguito del TPNW. Alcuni Paesi vi parteciperanno da osservatori, tra questi membri Nato come Norvegia, Germania, mentre a maggio la Commissione Affari Esteri della Camera ha approvato a maggio una risoluzione dell’onorevole Laura Boldrini per chiedere al governo la partecipazione dell’Italia — che è l’unico stato Nato a ospitare due basi nucleari dell’Alleanza, Ghedi e Aviano. Un’analisi sul TPNW e l’Italia è stata fatta da Ludovica Castelli per lo IAI.

Come spiega Jannis Kappelmann, ricercatore dell’Università di Amburgo, mentre la ragione dell’invasione sta nella mentalità imperiale e storicamente motivata di Putin, “la deterrenza nucleare è tra i meccanismi abilitanti dell’invasione russa”, perché ha in qualche modo tolto dall’equazione la deterrenza convenzionale tra NATO e Russia.

Davanti a questo, la porzione delle cittadinanze europee che è generalmente critica con la NATO e con la sua deterrenza nucleare potrebbe spingere per prendere posizioni più dirette. Semplificando il pensiero di queste persone (tendenzialmente iper pacifisti e spesso critici dell’Occidente) si potrebbe dire: la deterrenza nucleare è un problema che protegge l’uso della forza, dunque va eliminato lo strumento nucleare militare. Dall’altra parte crescono, è vero, anche coloro che ne sostengono la necessità di aumentarla così da evitare di essere invasi.

Come dimostra il continuo profluvio di articoli occidentali che invocano un compromesso con la Russia o un cessate il fuoco e una rapida soluzione negoziata, Mosca sta proteggendo correttamente i propri interessi. Anche qui il sondaggio Ecfr è utile: alcuni Paesi europei, come per esempio l’Italia, considerano Russia e Ucraina praticamente alla pari sulle responsabilità riguardo al fermare il conflitto.

Questo genere di opinione pubblica, supportata anche da alcune posizioni ideologiche storiche (la Chiese, i partiti della sinistra più radicale), è frutto di considerazioni sullo spettro dell’escalation. Ma, spiega Blank nel suo studio, queste posizioni apparentemente sono incuranti del fatto che le forze armate russe sono attualmente anche meno in grado di affrontare la Nato di quanto si pensasse in precedenza. Queste posizioni ignorano anche che Putin non ha mai lanciato una sfida diretta alla Nato e si è ritirato in precedenza quando Washington o Bruxelles hanno comunicato in modo sottile la loro determinazione, ad esempio impedendo un cambio di regime forzato in Georgia nel 2008.

Al momento, spiega l’analista del FPRI, nonostante le numerose minacce di attaccare le spedizioni di armi occidentali per rifornimento di armi straniere per l’Ucraina, Mosca non lo ha ancora fatto peraltro. E la mancata attuazione di queste minacce di Mosca convalida la decisione occidentale di inviare all’Ucraina le armi richieste.

Nel frattempo, la Russia continuerà a usare il suo residuo asso nella manica, la minaccia nucleare appunto, e altri strumenti cinetici e non cinetici (come l’infowar) per minare l’Ucraina — che secondo il premier Dmitri Medvedev tra qualche anno potrebbe non esistere più come Stato. Paradossalmente, per sfatare la convinzione che le minacce nucleari offrano alla Russia un successo strategico, la Nato, secondo l’analisi di Blank, dovrebbe muoversi più rapidamente e più ampiamente a livello convenzionale per minare la convinzione della Russia sull’efficacia di questa minaccia.

Il rischio è andare a vedere se Putin bluffa o meno. O ancora: aggiungendo ulteriore complessità, Christo Grozev su Bellingcat ha scritto che il presidente russo da una parte è pressato a compiere azioni forti (per esempio, l’uso di ordigni nucleari tattici?) ma teme che potrebbe esserci una parte dell’establishment che  disobbedisca — o faccia in modo di disobbedire — all’ordine, scatenando così un effetto domino che sarebbe un “segnale di insubordinazione” che potrebbe portare anche alla “morte dello stesso Putin”.



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