Il doppio incontro tra i leader di Arabia Saudita e Turchia, Qatar ed Egitto, mostra nel giro di una settimana come il mondo mediorientale sia in una fase nuova di allineamento. La riconciliazione di al Ula è al lavoro: un superamento delle ideologie davanti a esigenze nuove e sfide complesse come la pandemia e la guerra russa in Ucraina, spiega Bakir (Ibn Khaldun Center)
Nel giro di una settimana le divisioni interne che hanno segnato il Golfo per anni, e le dinamiche degli affari internazionali e geopolitici dell’intera regione MENA, hanno dimostrato la distensione tattica in corso. Due visite segnano il momento: il principe ereditario saudita, il factotum del regno Mohammed bin Salman, ha incontrato Recep Tayyp Erdogan in Turchia; l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, vedrà in giornata il presidente/generale egiziano, Abdel Fattah al Sisi, al Cairo.
La riconciliazione di al Ula sta lavorando per la stabilità delle regione. Il riavvicinamento segnato tra Doha e Riad (e Abu Dhabi) nel gennaio 2021 con l’incontro di al Ula ha messo da parte anni di scontri. La fine dell’isolamento in cui il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) aveva posto il Qatar nel giugno 2017 è uno degli eventi attorno a cui sta ruotando questa fase dialogante della politica intra-regionale.
Doha, che aveva subito ricevuto appoggio da Ankara (che a sua volta sfruttava l’occasione per schierarsi contro Abu Dhabi e Riad) è stata reintegrata nel GCC. La faglia intra-sunnita è stata chiusa. Ma soprattutto il Qatar è tornato un attore funzionale per le altre forze mediorientali, dopo essere stato accusato di avere collegamenti troppo amichevoli con l’Iran e di spalleggiare il terrorismo. Per quelle capitali arabe era considerabile terrorismo l’interpretare l’Islam secondo la visione della Fratellanza musulmana (organizzazione politica panaraba considerata appunto terroristica in Arabia Saudita, Emirati, Egitto).
Una fase superata. Sul tavolo comune c’è adesso anche un tema di importanza centrale, che diventa anche uno stress test per le relazioni: salvare l’Egitto. Il Qatar fa parte della triade (con sauditi ed emiratini) che hanno disposto un pacchetto di aiuti da 22 miliardi di dollari per aiutare Il Cairo a fronteggiare la crisi alimentare che i suoi cento milioni di cittadini subiranno (o forse meglio dire stanno già subendo) come contraccolpo dell’inflazione prodotta dalla guerra russa in Ucraina.
Bin Salman è uscito dalla capitale egiziana con un pacchetto di accordi dal valore di 7,7 miliardi e al Thani farà altrettanto. Doha si trova adesso ad appoggiare aiuti di vario genere per sostenere il governo di al Sisi, salito al potere tramite un golpe militare – sostenuto da Riad e Abui Dhabi – che ha deposto il presidente eletto Mohammed Morsi, esponente della Fratellanza e amico di Qatar e Turchia.
È un superamento di una barriera ideologica, necessario davanti alla fase attuale, in cui la volontà di stabilizzazione segue l’effetto complesso della pandemia e le dinamiche a cascata della guerra ucraina? Secondo Ali Bakir, esperto di Turchia e Golfo presso l’Ibn Khaldun Center for Humanities and Social Sciences di Doha, ridurre questi impegni diplomatici e la riconciliazione al ruolo della Fratellanza significherebbe in effetti perdere il punto strategico.
“Queste visite – spiega in una conversazione con Formiche.net – sono legate a uno sforzo molto più ampio di riconciliazione di diverse potenze regionali e arrivano in parallelo con la distensione regionale degli ultimi due anni, e sono legate a dinamiche internazionali e regionali completamente diverse e molto più grandi della Fratellanza musulmana”.
Tra queste, Bakir indica la sconfitta di Donald Trump alle elezioni presidenziali, e appunto l’accordo di al-Ula nel 2021, le implicazioni della pandemia, la fine dell’era delle rivolte arabe e, naturalmente, la guerra russa all’Ucraina.
In questo contesto, il mondo islamico dello status quo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto – sta guidando il gioco? “Non direi, non sembra che abbiano il sopravvento, e non dobbiamo dimenticare che questi Paesi non sono riusciti a sottomettere il Qatar, non sono riusciti a isolare la Turchia e hanno fallito in diversi teatri regionali, tra cui Yemen, Libia e Mediterraneo orientale”.
Altri fattori che potrebbero aver avuto un loro peso nelle dinamiche in corso. “Dobbiamo anche considerare – aggiunge Bakir – che in effetti, Riad è stata la prima a cercare Doha per la riconciliazione, gli Emirati Arabi Uniti hanno contattato la Turchia e il Cairo ha contattato Doha. Questo è avvenuto prima di assistere a un impegno diplomatico più completo tra tutti loro”.