L’Europa avrebbe dovuto calcolare meglio l’impatto che le sanzioni avrebbero avuto sull’economia del continente, dal punto di vista non solo energetico. Le ripercussioni sul prezzo del grano ne sono un esempio, scrive Maurizio Guandalini, giornalista e saggista
Stop al petrolio russo per via mare. Siamo al medesimo paradigma in uso per grano e gas. Che non ha funzionato nella sequela “più sanzioni per fare la pace”, “più armi agli ucraini per terminare la guerra”. Più sanzioni poi chiamano Putin per implorarlo a pompare gas. Più sanzioni a Putin e poi gli chiedono di non usare l’arma del grano perché affama il mondo. A fronte della decisione di mettere in ginocchio la Russia. Ora il petrolio. È preferito quello che non arriverà con le navi cisterna. Deroghe per Ungheria, Polonia e Germania. 18 mesi per la Slovacchia. Al 2024 per la Bulgaria. Ma anche per l’Italia visto che il blocco in pratica scatterà a febbraio 2023.
Sotto il rinnovato motto “l’Unione fa la forza”, gli stati dell’Europa disputano una guerra tutta loro, à la carte, ogni nazione sceglie il proprio menù secondo le esigenze di casa propria. Un patchwork naif del quale fatichiamo trovare il senso. Gli effetti pratici. Su Putin. Sull’economia di guerra. E qual è l’alternativa? Così chiedono coloro che si capisce lontano un miglio sostengono le sanzioni perché è quel minimo sindacale dimostrativo che mette il cuore in pace. Ma non è serio optare per disordinate sanzioni camouflage venute male per mancanza di alternative verso la paladina difesa della libertà di nazioni arbitrariamente invase.
L’evidenza. Il domino generatosi ha portato alla crisi alimentare di questi giorni. Le sanzioni hanno potenziato l’escalation in armi della guerra, hanno insinuato un pericoloso acceleratore della crisi economica mondiale già gravata dalla pandemia e spento la globalizzazione che aveva favorito l’uscita dalla povertà miliardi di persone. Un disordine continentale che fagocita nazioni, dall’oggi al domani trovatesi senza valide alternative alle quali attingere per la risoluzione dei problemi correnti.
L’adozione della filosofia “Muoia Sansone con tutti i filistei” ha incanalato il mondo in una strada senza uscita. E, soprattutto, quegli atteggiamenti sui generis che alcuni Paesi europei hanno tenuto, oggi saldano cornici a figure non esemplari come le giravolte del pagamento in rubli del gas russo. Metà Unione europea sta tenendo questa condotta (infatti a Danimarca e Olanda che hanno opposto un deciso rifiuto la Russia non invia gas). Nel frattempo il prezzo del gas è quintuplicato e la Russia sta intascando più denari dello scorso anno mentre l’Italia sta importando il doppio rispetto al 2021. È vero quando si sostiene che il format energetico italiano non ritornerà quello di prima però qui siamo ancora in attesa di capire quello che sarà, come si svolgerà, quale saranno le risposte strutturate rispetto alla nostra dipendenza dalla Russia, manca una ordinata compensazione, anche la storia del tetto al prezzo del gas è rimandato sine die, per ora un discreto inserimento nel prossimo ordine del giorno del Consiglio europeo ma è chiaro viste le contorsioni per il petrolio che non ci dovremo aspettare nulla di eclatante.
Ma non solo per il gas, anche per grano e soprattutto le materie prime (le gare d’appalto nell’edilizia vanno deserte per un aumento del 25% delle materie prime). La stragrande maggioranza degli italiani, stando a un recente sondaggio, oltre ad essere impaurita è più preoccupata dei rincari energetici che della guerra in Ucraina. Quindi è probabile che gli effetti sanzionatori su Mosca si vedranno dopo l’estate ma in molti Paesi occidentali gli effetti nefasti, soprattutto in Italia, sono già in corso. E lo vedremo ancora di più nei prossimi mesi.
La lezione da trarre è che bastava meditare al meglio fin dall’inizio del conflitto i comportamenti da tenere sul terreno sanzionatorio evitando di far scivolare la situazione in cunicoli impervi. Spingere in retromarcia il pianeta, alimentare ulteriori tensioni, che si prevedono cruente per fame, un rewind verso dosi massicce di povertà. Che s’incastrano con il movimentato e variegato quadro economico che, nei prossimi mesi, il governatore della Banca d’Inghilterra ha definito apocalittico. Il governatore della Banca d’Italia fotografa una inflazione al 7,8% (già qualche settimana fa secondo i nostri calcoli artigianali stimavamo un 8,5-9%) e un calo del Pil del 2% nei prossimi due anni. Percentuali a somma di salari che nell’arco di trent’anni sono diminuiti del 2,9%.
Possibile che l’Europa, seduta attorno a diversi tavoli, non ha ponderato che le mosse delle sanzioni avrebbero provocato un putiferio senza precedenti? Meditare vuol dire valutare le conseguenze. Si osservino le condotte di Lituania e Finlandia. La Lituana di sua volontà si è staccata dal gas russo. Ha costatato che ce la può fare da sola. Infatti, dal 2014 ha un rigassificatore galleggiante che macina 4 miliardi di metri cubi di gas. La Finlandia, nazione sanzionata da Putin per la richiesta di aderire alla Nato, aveva preventivato a quello che sarebbe andata incontro. La Russia ha chiuso i rubinetti del gas e la Finlandia non si è scomposta rispondendo con un lapidario “ci siamo preparati con cura a questa situazione”.
Ci chiediamo il ruolo delle diplomazie, degli studiosi di strategie, degli analisti finanziari e previsionali, la produzione stessa di paper giornalieri su cosa si basava se non teneva conto del caos agitato che montava, giorno dopo giorno, sul tozzo di pane per sfamare milioni di persone? La guerra non in armi innescata si è rivelata ben più dannosa dei missili e dei carri armati. E l’Europa si è persa a puntare le fiches su una sconfitta di Putin, sulle sue malattie, sul tremolio della gamba, su un cambio di regime, sulla sollevazione popolare dei russi. Fino a stupirsi che il capo del Cremlino usi prima l’arma del gas e poi quella del grano come strumenti di guerra o di contro sanzioni verso l’Occidente.
L’Europa poteva e può far molto sulla via negoziale della conclusione del conflitto russo-ucraino seguendo la dottrina Kissinger, affidandola al duo Merkel e Blair (in precedenti scritti avevamo indicato la necessità di un mediatore alla Berlusconi: è paradossale e fuori tempo veder sfilare all’Europa la mediazione da parte della Turchia di Erdogan), partendo dal graduale esaurimento fallimentare del piano sanzionatorio. Con il melange di sanzioni in corso non avremo mai una voce sola dell’Europa.
Occorre abbandonare il cul de sac contemporaneo, un tragitto senza fine, dell’escalation in guerra. Con reazioni, fin qui, più di cuore&indignazione che di razionalità. È così vero che l’uscita di Kissinger – di buon senso ma parimenti così banale, nell’ordine delle sole cose possibili, da fare, al punto in cui è arrivato il conflitto – è il sintomo di un immobilismo di visione dell’Europa, una unità di facciata smentita dai bisogni correnti di ogni nazione, appesantita da vincoli, promesse, accondiscendenze che per loro natura nulla hanno a che vedere con soluzioni negoziali, diplomatiche e quindi di fine guerra.