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Se l’Italia è un affare per il petrolio di Putin. Il report

Un rapporto del think tank finlandese Crea svela: nei primi cento giorni di guerra russa in Ucraina l’Italia è rimasta il terzo importatore mondiale di energia da Mosca. Va a gonfie vele il business del petrolio: da Trieste alla Sicilia, l’oro nero di Putin trova nello Stivale più di un porto sicuro

Come vanno gli affari energetici di Vladimir Putin? Non male, anche grazie all’Italia. È il quadro dipinto dall’ultimo rapporto di un think tank finlandese, il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea). I numeri, per cominciare: nei primi 100 giorni di invasione russa dell’Ucraina le esportazioni di gas e petrolio hanno fruttato a Mosca ben 93 miliardi di euro. Di questi, 57 miliardi, il 61%, pagati dai Paesi dell’Unione europea nonostante le sanzioni approvate contro l’energia russa.

Sul podio dei principali importatori di fossili russi c’è l’Italia: seconda in Europa e terza al mondo con 7,8 miliardi di euro spesi, preceduta solo da Germania (12,1) e Cina (12,6). Seguono invece Olanda, Turchia, Polonia, Francia, India e Belgio. Il business energetico russo, insomma, resiste alla tempesta. “La riduzione della domanda e i prezzi scontati del petrolio russo sono costati ogni giorno alla Russia circa 200 milioni di euro a maggio – scrivono i ricercatori – ciononostante, la Russia ha incassato circa 880 milioni di euro al giorno dall’export energetico, paragonati agli 1,1 miliardi di euro al giorno tra gennaio e febbraio 2022”.

Se la fuga dal gas russo procede a rilento, quella dal petrolio non è da meno. “Le importazioni di petrolio grezzo in Ue sono crollate del 18% a maggio. Tuttavia la riduzione è stata colmata da India ed Emirati Arabi di fatto lasciando inalterati i volumi di esportazioni di greggio da parte della Russia”, si legge nel rapporto. Anche qui l’Italia è presente sul podio: è il terzo importatore mondiale dell’oro nero di Mosca dopo Olanda e Cina. Effetti indesiderati e paradossali della crisi: dall’inizio della guerra l’Italia non solo non ha diminuito, ma ha notevolmente aumentato le importazioni di petrolio russo.

Volumi quadruplicati da febbraio a maggio, ha recentemente svelato un’analisi della società Kper citata dal Financial Times, fino a un picco di 450mila barili di greggio russo al giorno, un record dal 2013. In Sicilia, ad esempio, procede senza sosta l’attività della raffineria Isab, di proprietà del colosso russo Lukoil, che a causa delle sanzioni finanziarie europee è oggi costretta ad affidarsi alle sole forniture di petrolio russo. L’impianto di Priolo raffina circa il 22% del petrolio nazionale ed è uno dei principali motivi per cui l’Italia, suo malgrado, vanta il primato di importatore dalla Russia. Il dossier è sulla scrivania del Mite e tutte le opzioni sono al vaglio. Anche “una manovra simile alla nazionalizzazione”, in analogia “con quanto ha fatto il governo tedesco”, ha detto sabato il ministro Roberto Cingolani parlando al Festival dell’Innovazione del Foglio.

Nel frattempo gli affari proseguono. Solo tra aprile e maggio, svela il report del think tank Crea, in Italia sono arrivati sette carichi di petrolio e prodotti in petrolio russo per un valore di 367 milioni di euro. Non sempre il Belpaese è la meta definitiva delle partite russe via mare. Il porto di Trieste, ad esempio, “fa da porto di transito verso la Germania e l’Austria”. Lo scalo triestino, dove opera la società Seastock Srl, è il terzo più frequentato al mondo dalle navi che trasportano petrolio russo, con quasi 4 milioni di tonnellate di petrolio russo (3,645) nei primi cento giorni. Nella top ten dei porti, al decimo posto, c’è anche quello siciliano di Santa Panagia, con quasi un milione di tonnellate arrivate (833).

Se il commercio di petrolio russo va a gonfie vele, spiega il rapporto Crea, è perché può contare su una rete di navi europee impegnate a trasportarlo: “Sanzioni forti contro le navi che trasportano il greggio russo limiterebbero significativamente il riorientamento delle rotte e delle esportazioni russe”. E invece l’Europa, che da una parte ha colpito il petrolio russo con un bando parziale pronto a entrare in vigore entro sei mesi, dall’altra è protagonista dei traffici di Mosca: solo tra aprile e maggio il 68% delle consegne di petrolio russo ha visto in azione navi di compagnie dell’Ue, del Regno Unito o norvegesi.


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