Un autocrate allo specchio che accusa il mondo di provocare conflitti mentre sta invadendo un Paese neutrale: questa in sintesi l’analisi del discorso di Putin al forum di San Pietroburgo. Un intervento che rivela molti retroscena. Il commento di Gianfranco D’Anna
Odio e fiele, accuse e disprezzo contro gli Stati Uniti e l’Europa. Vladimir Putin usa termini e concetti di inusitata violenza verbale per rovesciare una valanga di malanimo e di astio conto Washington e Bruxelles. “L’era del mondo unipolare é finita” e questo cambiamento “é parte della storia” e “non é reversibile”. “I cambiamenti in atto nell’economia e nella politica internazionale sono tettonici e rivoluzionari”. Come dire: “Sto provocando un terremoto internazionale che sovverte gli equilibri mondiali”, afferma in sostanza il presidente Russo che ha solo sfiorato, con le consuete autodefinizioni giustificatorie l’invasione dell’Ucraina, definita “un’operazione speciale che rappresenta la decisione di uno Stato sovrano basata sul diritto di garantire la sua sicurezza e la costruzione e il rafforzamento di una potenza forte e sovrana: la Russia”.
Iniziato con oltre un’ora di ritardo per un non meglio specificato attacco haker che avrebbe sabotato degli impiati tecnici e informatici della sede del forum econiomico politico promosso dal Cremlino a San Pietroburgo, il discorso di Putin ha evidenziato l’aggressività monotematica contro l’occidente. Un’aggressività che secondo psicologi e analisti tradirebbe la frustrazione e la rabbia per l’efficace difesa ad oltranza degli ucraini e per la mobilitazione europea e americana a difesa di Kiev.
Evidenti i tentativi di dividere Usa ed Europa:” L’Ue – ha affermato Putin – ha perso la sovranità politica. Le sanzioni occidentali sono state attuate sulla falsa tesi che l’economia della federazione russa non sia sovrana”. Ma “la Russia non seguirà mai la strada dell’autarchia, nonostante i sogni dell’Occidente e le sanzioni si ritorceranno contro chi le ha imposte”. L’attuale situazione in Europa per il capo del Cremlino “porterà a un’ondata di populismo e radicalismo e a un cambiamento delle elite al potere.”
Ostilità e guerra, mai un riferimento alle prospettive di trattative o la citazione di parole come tregua e pace. Un lanciafiamme verbale, più che un intervento su temi economico politici, rivolto più all’interno che all’esterno della Russia. Come se Putin avesse più la necessità di galvanizzare i russi che non di intimorire l’Occidente e soprattutto volesse rassicurare gli alleati che lo ascoltavano in sala o in video conferenza, come il leader cinese Xi Jinping e l’egiziano Abdel Fatah al-Sisi. Gli unici capi di Stato presenti erano i Presidenti di tre Paesi post-sovietici: il bielorusso Aleksandr Lukashenko, il kazako Kassym-Jomart Tokaev e l’armeno Vahagn Khachaturjan. L’immagine allo specchio dell’isolamento internazionale.