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A Putin l’Ucraina consegnerà un conto amaro. Parla Zubov

Intervista allo storico e dissidente russo: Putin voleva il regime change a Kiev, l’avanzata nel Donbas non è una vittoria. Questa guerra non la vuole quasi nessuno in Russia. Oligarchi? Giusto colpirli, ma ormai a Mosca comanda il Kgb

Riscrivere la storia con una penna scarica. Andrey Zubov, storico russo e vicepresidente della forza di opposizione Parnas, è convinto che i primi cento giorni della guerra russa in Ucraina racchiudano un fallimento di Vladimir Putin. 

Putin sta vincendo la guerra?

Non ne sono convinto. Quando la guerra è iniziata ho previsto il collasso del regime: senza una vittoria immediata l’architettura di potere di Putin avrebbe ceduto. Le cose sono andate diversamente. Putin è ancora al Cremlino, la guerra va avanti. Ma non è detta l’ultima parola.

È ancora convinto che la Russia viaggi verso la sconfitta?

Non perdiamo di vista gli obiettivi iniziali di Putin: conquistare tutta l’Ucraina, occupare Kiev e liberarsi di Zelensky, governo e Parlamento. Questa missione è fallita: l’armata russa è tornata verso il confine e oggi concentra i suoi sforzi in Donbas e nel Sud del Paese.

Qui però sta avendo la meglio. I russi stanno penetrando a fondo nel Donbas, Severodonetsk è ormai in mano degli occupanti.

Stanno avendo la meglio per ora. Con l’arrivo di nuove armi occidentali e dei missili a medio raggio la resistenza ucraina può tentare una contro-offensiva nel Sud-Est. Difficile intravedere una vittoria di Putin. Anche i suoi obiettivi minimi non sono stati raggiunti: a Donetsk e Luganks si combatte ancora.

Si inseguono voci su una malattia di Putin. Sono credibili?

Impossibile confermarle. Una cosa è certa: il futuro politico di una dittatura dipende per buona parte, se non tutta, dalle condizioni fisiche del dittatore. Putin però dovrebbe preoccuparsi di altro.

Di cosa?

Nessuno, in Russia, è interessato a questa guerra, tranne lui e una ristretta cerchia di generali. L’industria, la burocrazia, la gente semplice non sente sua la campagna d’Ucraina.

Europa e Stati Uniti continuano a colpire con le sanzioni gli oligarchi russi. Queste persone hanno ancora un ruolo e un potere a Mosca?

Rimasugli. Nella Russia di oggi non sono gli oligarchi a comandare ma il Kgb. Questi industriali servivano a creare un ponte con il capitale occidentale, acqua passata. Ma sanzionarli resta un esercizio utile: ricorda a loro e al popolo russo che questa guerra non ha aumentato ma ha affondato la ricchezza del Paese.

Il fronte delle sanzioni traballa. Qual è secondo lei l’anello debole della catena europea?

Troppo semplice: l’Ungheria. La Germania fatica a fare i conti con la sua storia: l’idea di uno scontro aperto con la Russia riporta in vita i fantasmi della Seconda guerra mondiale, anche se Scholz sta provando a superare questo blocco. Nella Nato l’anello debole è la Turchia, che usa la crisi come leva politica.

L’Italia è un anello forte?

L’Italia sta provando davvero a fare i conti con il suo recente passato. Un passato da Paese amico del regime russo, tanto da spendersi per avvicinare Mosca alla Nato all’inizio degli anni duemila. Lo shock della violenza russa in Ucraina ha invertito questo trend.



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