L’ultimo rapporto Symbola mette in risalto la potenza italiana in fatto di economia circolare, un valore aggiunto ed esportabile. Divieto sulle auto a benzina? La transizione è arrivata, spiega Realacci, chi non si adegua perde. Ora avanti con rinnovabili, ricerca e reshoring per non farsi travolgere dalla Cina
È stata una settimana turbolenta per l’agenda green europea. Il pacchetto-legge Fit for 55 ha subìto una seria battuta d’arresto mercoledì, mentre in Italia la decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di auto a benzina e diesel dal 2035 ha provocato ansia e sgomento. Ma a dispetto della retorica di reticenti ed estremisti green, l’Italia ha già imboccato con decisione la strada della transizione ecologica. Anzi, come evidenzia il nuovo rapporto della Fondazione Symbola, sta guidando la corsa in diversi settori.
“Noi italiani siamo cripto-depressi, capaci di vedere i nostri difetti senza affrontarli ma abbastanza incapaci di vedere i nostri punti di forza”, ha chiosato Ermete Realacci, presidente di Symbola, a Formiche.net. Il rapporto racconta un’altra storia: con un tasso di riciclo dei rifiuti che sfiora l’80%, l’Italia è leader nell’economia circolare – a fronte di una media europea del 48,6%. È prima anche per efficienza delle risorse (materie prime, acqua, energia), ben più avanti di Germania, Francia e media europea.
“Questi dati sono figli della nostra antropologia produttiva,” spiega Realacci. “Essendo un Paese povero di materie prime, nel corso dei secoli siamo stati spinti a usare quella fonte di energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana”. Risultato: le nostre filiere produttive sono più efficienti, emettono meno CO2, sfruttano meglio la tecnologia e sono più competitive – a livello globale. A riprova dell’esistenza di un Paese che “anche senza le politiche e la burocrazia adeguate, spesso produce picchi di eccellenza”.
C’è del valore insito in questo know how: i sistemi di produzione efficienti sono esportabili. Come il modello italiano di raccolta dei rifiuti urbani, che l’Ue indicava già dieci anni fa come esempio. O le pratiche di efficientamento della produzione dei materiali, che possono già fare la differenza. In questo, l’Italia può aiutare gli altri Paesi nella conversione.
Alcune aziende hanno già peso green all’estero: il più grande operatore al mondo nelle rinnovabili, con 53,4 gigawatt di capacità gestita nel 2021, è Enel. Una società con cui l’ambientalista Realacci ha avuto un rapporto tempestoso in passato, e che ora indica come un’eccellenza in grado di dimostrare il valore della transizione. “Da quando Enel ha abbandonato i combustibili fossili e ha puntato sulle rinnovabili, il suo valore è cresciuto di parecchio; quella scelta ha difeso i posti di lavoro e ha rafforzato un’azienda strategica per l’Italia”.
“È cambiata un’epoca. Una volta si diceva ‘sì, l’ambiente è importante, ma bisogna stare attenti a non danneggiare l’economia. Oggi chi non accetta la frontiera ambientale danneggia l’economia’”. Con buona pace di coloro che criticano le misure più incisive, come lo stop alla vendita delle auto con motore endotermico. Una mossa che secondo gli analisti rischia di consegnare la sovranità tecnologica europea in mano alla Cina, che tra materie prime e terre rare ha una presa saldissima sul mercato dell’auto elettrica.
Per Realacci, l’ineluttabilità della svolta elettrica era evidente a tutti, come anche il fatto che si trattasse di una sfida complessa. Ma bando ai piagnistei, avverte: “chi parte male e in ritardo perde. Il fatto che si sia ottenuto [il divieto] dimostra che le grandi case produttive europee, specie quelle tedesche, hanno capito che lì bisogna andare ed è meglio arrivare prima degli altri”. Ma serve attrezzarsi anche per le manchevolezze, continua, a partire da alcuni elementi della filiera. Come le batterie, su cui l’Ue è molto indietro, e ha “sbagliato a non attrezzarsi”.
Come per i pannelli solari, il pericolo è sostituire la dipendenza dai combustibili fossili con una dipendenza tecnologica dalla Cina. Ma l’Europa deve tagliare la testa al toro e puntare sul reshoring, spiega Realacci. Innervando il processo produttivo di quell’attenzione verso l’efficientamento e il recupero dei materiali, in cui l’Italia si è dimostrata leader, per ridurre ancora la dipendenza dalle catene di fornitura esterne. Certo, c’è un problema di accumulo di energia, ammette l’esperto, motivo per cui bisogna investire in ricerca e raccoglierne i frutti più disparati – esattamente come per la fusione nucleare.
Le rinnovabili sono la risposta di Realacci anche al caro-bollette, un punto dolente da quando l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto schizzare il prezzo del metano. Che poi è la causa dell’impatto economico sulle famiglie: “se avessimo il doppio delle rinnovabili, le famiglie e le imprese pagherebbero una bolletta molto più bassa”. Ed è una scelta di senso economico, visti i prezzi odierni del green tech. Nonostante Donald Trump avesse agevolato l’industria dei combustibili fossili, ricorda il presidente di Symbola, tutti i nuovi impianti di generazione elettrica costruiti verso la fine della sua presidenza erano rinnovabili. “Perché gli americani sono pragmatici. E se al governatore repubblicano costa meno l’eolico, sceglierà quello”.