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Tutti gli errori genetici del Reddito di cittadinanza. L’analisi di Cazzola

Si sono inclusi in un unico istituto alcuni interventi di politiche sociali e del lavoro, tra loro difficilmente conciliabili: l’inclusione sociale, l’occupazione, la stabilità del lavoro. Per queste ragioni non sono convinto che le difficoltà delle imprese a reperire manodopera dipenda dal Reddito di cittadinanza

Qualcuno potrebbe obiettare che Luca Cordero di Montezemolo non è la persona più adatta per parlare di lavoro, essendo stato iscritto dall’avvocato Agnelli, fin da giovane, in vari consigli di amministrazione. Ma arrivato ormai a 75 anni, da molto tempo ha dovuto fare da sé, mettendo insieme un curriculum vitae di tutto rispetto. Poi che cosa altro dire? Montezemolo sarà pure un ex, ma le considerazioni che ha svolto nella intervista a Il Foglio hanno il merito di andare diritte ad un groviglio di questioni, reali ma rifiutate o sottovalutate in un dibattito politico che, in stretto rapporto con la vulgata dei media, si ostina ad interpretare i guai dell’Italia nella maniera in cui fa comodo alle consorterie che, in un tempo ormai dimenticato, venivano definite come espressione del pluralismo sociale.

Il tema – dice Luca di Montezemolo – riguarda il lavoro che c’è, e che nessuno vuole, e riguarda i salari che ci sono, per i quali tutti dovremmo combattere per non accontentarci di quello che c’è. È questa “una battaglia di civiltà – afferma inoltre l’imprenditore – come tutte le battaglie di civiltà occorre affrontarle con serietà, con occhio fermo e con poca ideologia’’.

Perché si deve essere preoccupati da quello che potrebbe succedere in Italia il prossimo autunno, quando la combinazione tra inflazione molto alta, costi dell’energia molto alti, salari molto bassi potrebbe mettere l’Italia di fronte a un problema a due facce: da un lato un mercato del lavoro fiaccato non solo dal lavoro che non si trova, ma anche da quello che si rifiuta; dall’altro un potere d’acquisto dei cittadini ridotto all’osso.

Condannato a pagare il prezzo salato della cosiddetta stagflazione ovvero della perversa combinazione tra il ristagno produttivo e un’inflazione che sfugge ancor più di mano (siamo ora al livello del 1986) in conseguenza di una rincorsa non governata dei salari (che sembra essere la strategia della Cgil e della sua nuova succursale, la Uil); senza fare minimamente tesoro delle esperienze trascorse, quando apparve chiaro che l’inseguire l’incremento del costo della vita con meccanismi retributivi automatici non solo consolidava il tasso di inflazione in vista di ulteriori incrementi, ma gonfiava il salario nominale nelle buste paga diminuendo in modo inversamente proporzionale quello reale a disposizione del potere di acquisto.

È arrivato il momento – sostiene Montezemolo – di fare un’operazione verità non solo di natura economica, ma anche di natura sociale. Tutte le parti in causa non possono assistere impunemente a questo spreco di risorse e di capitale umano. Perciò l’ex presidente di Confindustria affronta “alcuni precisi problemi quando si parla di lavoro che c’è e che nessuno vuole’’, nonostante gli indici della povertà, della disoccupazione e del numero di giovani sperduti nell’universo dei neet.

Secondo Montezemolo il Reddito di cittadinanza (Rdc) non è il motivo più importante, ma ha un peso relativamente al lavoro rifiutato. Ricordando le statistiche dei 3,5 milioni dei percettori del RdC, circa un milione è considerato occupabile, ma centinaia di migliaia di queste persone non si sono mai presentate ai Centri per l’impiego e non sono stati accompagnati lungo un percorso di lavoro. Qui – a mio avviso – sta l’errore di analisi che in tanti compiono quando si tirano le somme di questa esperienza e delle decine di miliardi che è costata in un triennio. Le indagini sul campo, persino quella della commissione ministeriale presieduta da Chiara Saraceno, sono pervenute a una conclusione che non può essere ignorata: i percettori del RdC non sono occupati, perché non sono occupabili, in quanto mancano, in larga prevalenza, di quei requisiti minimi di scolarizzazione, di rapporti sociali e di esperienze lavorative che li rendono adibibili anche a mansioni non qualificate ma soggette comunque ad un’organizzazione del lavoro.

È scritto, infatti, nella relazione Saraceno che “i beneficiari di RdC, anche quando teoricamente ‘occupabili’ spesso non hanno una esperienza recente di lavoro e hanno qualifiche molto basse. Inoltre, i settori in cui potrebbero trovare un’occupazione – edilizia, turismo, ristorazione, logistica – sono spesso caratterizzati da una forte stagionalità. I criteri attualmente utilizzati per definire congrua, e quindi non rifiutabile, un’offerta di lavoro non tengono conto adeguatamente di questi aspetti’’ , mentre sarebbe prioritario favorire la costruzione di un’esperienza lavorativa. Pertanto, anche la qualità del lavoro che viene offerto dovrebbe considerare “almeno temporaneamente, congrui non solo contratti di lavoro che abbiano una durata minima non inferiore a tre mesi’’, ma anche quelli per un tempo più breve, purché non inferiori al mese, “per incoraggiare persone spesso molto distanti dal mercato del lavoro ad iniziare ad entrarvi e fare esperienza’’.

Vengono in evidenza in tali considerazioni gli errori genetici del RdC: avere incluso in un unico istituto alcuni interventi di politiche sociali e del lavoro, tra loro difficilmente conciliabili. Ovvero, l’inclusione sociale, l’occupazione, la stabilità del lavoro.

Per queste ragioni io non sono convinto che le difficoltà delle imprese a reperire manodopera dipenda dal RdC, perché i percettori di questa prestazione sono difficilmente occupabili anche in mansioni non qualificate, senza che qualcuno provveda al completamento dei requisiti basilari per svolgere qualsiasi attività: come disporre della patente di guida, avere un minimo di confidenza con le tecnologie più elementari, riuscire ad esprimersi correttamente e a rispettare gli orari e le gerarchie. Si tenga sempre presente che è la famiglia a percepire il RdC sulla base del numero dei componenti e dell’Isee. Varrebbe quindi la pena – anche nelle trasmissioni televisive – di chiedere al giovane intervistato (escluso dal RdC per le condizioni economiche della famiglia dove è convivente) che rifiuta un impiego perché considera troppo bassa la retribuzione, come gli sia possibile continuare la propria esistenza senza neppure quella retribuzione ritenuta inadeguata. Se fosse onesto il nostro risponderebbe in un solo modo che è poi quello reale: ci pensa la sua famiglia, la quale non si limita a garantirgli vitto, alloggio, lavatura e stiratura, ma gli passa anche qualche un argent de poche di centinaia di euro per le sue piccole spese. In questi casi, non è il RdC a fare concorrenza al lavoro, ma la possibilità – come ha scritto Luca Ricolfi – di appartenere a una “società signorile di massa”. Il resto, come commenta Il Foglio, sono balle.

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