La fatwa di Putin contro l’Occidente a San Pietroburgo fa cadere ogni ipocrisia: la guerra russa in Ucraina è l’ultima tappa della sfida illiberale al mondo libero. Risponderemo con la democrazia, in Parlamento. Il commento di Enrico Borghi, deputato e responsabile Sicurezza del Pd, componente del Copasir
Ci voleva, forse, l’ultima intemerata di un Vladimir Putin in versione Fidel Castro al Forum economico di San Pietroburgo per far comprendere al mondo (e a chi abbia orecchie per comprendere e occhi per vedere) la natura profondamente ideologica della sua recente aggressione all’Ucraina.
Il discorso di San Pietroburgo è l’ultima, compiuta evoluzione di una teoria già abbondantemente esposta al mondo nel recente passato, tra la famosa intervista al Financial Times del 2019 e l’intervento al Valdai Club del 2021: l’Occidente per lui è il nemico, il modello obsoleto da sostituire con la autocrazia orientale, e l’Unione Europea è null’altro che un’ancella dell’ imperialismo americano.
È con questo mastice ideologico che lo zar del Cremlino, auto-ribattezzatosi reincarnazione di Pietro il Grande, ammanta e giustifica la guerra di aggressione all’Ucraina, affiancato nella sua allocuzione da alcuni straordinari campioni dei diritti civili e della libertà di opinione come Xi Jinping e al-Sisi.
Servirà questa ennesima intemerata putiniana per far comprendere un punto focale nell’Italia punteggiata dai furbi del terzismi, dai pigri dei salotti televisivi e dai nuovi sofisti di casa nostra? Il punto focale è molto semplice: la guerra in Ucraina ha scavato un solco tra un prima e un dopo, e questo solco determina la scriminatura e il confine della politica. Estera ed interna.
Per chi non se ne fosse ancora accorto, la politica estera di una nazione è diventata politica interna. È diventata l’elemento che discrimina, polarizza e ricostruisce le posizioni politiche all’interno delle singole nazioni. In Italia non siamo preparati a questo salto di fase.
Almeno dalla famosa intervista di Enrico Berlinguer a Giampaolo Pansa alla vigilia delle elezioni politiche del 1976, noi Italiani ci siamo abituati ad immaginare che potessimo fare ogni piroetta politica interna, perchè tanto ci sarebbe stato il “materasso” dell’Alleanza Atlantica e poi dell’Unione Europea ad attutire qualche nostra sbandata.
Avevamo fatto la scelta giusta tra il 1947 e il 1949, e tanto bastava. Peccato che le certezze non sono acquisite per sempre, e le assicurazioni sulla pace, la prosperità e la sicurezza vanno sempre aggiornate e riconquistate, perchè non sono un regalo eterno. E a ricordarcelo sono sia i fatti di Ucraina, sia le posizioni assunte dalla recente amministrazione americana.
“La politica estera è politica interna prima di tutto” ha ricordato Jake Sullivan, primo assistente al National Security Council, la cabina di regia statunitense dove si elaborano la politica estera e militare. La politica estera, insomma, include le sfide interne, anzi parte proprio da quelle.
Immaginare di fare in casa propria “di tutto e di più”, assumendo posture che per certi aspetti sconfinano in evidenti posizioni filo-moscovite pur permettendosi al tempo stesso di appoggiare il governo Draghi (Salvini docet), pensando che tanto sul piano internazionale questo non abbia dei riverberi è uno degli errori più provinciali e più marchiani che si possa commettere in questa fase.
A chi pensa di “fare il furbo senza pagare il sale”, come recita un proverbio delle mie parti, è bene ricordare che è vero esattamente l’opposto. E i fatti si stanno incaricando di dimostrare quanto il tema della politica estera sia decisivo per il riposizionamento e la scriminatura delle forze politiche di casa nostra. Proviamo a fare alcuni esempi.
Su cosa si regge, in casa dei 5 stelle, il confronto-scontro tra Di Maio e Conte, se non sul posizionamento di quel partito in politica estera? Su cosa si regge, in casa leghista, il silenzioso e carsico conflitto tra l’ala sovranista e l’ala governista se non sull’esigenza di aderire o meno senza ambiguità alla linea atlantista imposta da Draghi all’esecutivo di unità nazionale? Su cosa si regge, dalle parti di Fratelli d’Italia, l’ambiguità di Giorgia Meloni che da una parte assume una postura filo-atlantica per erodere consensi a Matteo Salvini e dall’altra vola in Andalusia per declinare a piena voce l’impianto culturale del sovranismo putiniano?
Sta dentro questa cornice la recentissima visita del Copasir a Washington, che ha segnato un passaggio importante dal punto di vista delle relazioni transatlantiche visto che oltre oceano al comitato parlamentare per la sicurezza (finito nel mirino di qualche filo-russo di casa nostra per aver osato fare ciò che in tutto il mondo i comitati parlamentari fanno per garantire la sicurezza, e cioè vigilare sul tema della disinformazione russa e cinese) sono state aperte alcune porte importanti (Casa Bianca, Senato, Congresso, Pentagono, Dipartimento di Stato, Dipartimento del Tesoro, Dipartimento dell’energia oltre a numerosi think thank di varia estrazione politica) sia per confermare l’importanza strategica delle relazioni sia per aggiornare il “software” dell’alleanza tra Roma e Washington.
Che da questa visita riceve tre sottolineature. Primo: il riconoscimento a Italia e Unione Europea di prontezza e unità sulla crisi ucraina, smentendo le false dottrine russe (e interne) sulla lentezza e la divisione europea. Secondo: l’esigenza di un rafforzamento del coordinamento tra le intelligence dei nostri paesi, perchè la sfida globale posta dalle autocrazie contro le democrazie impone collaborazione e cooperazione tra i sistemi preposti alla nostra sicurezza. Terzo: grande attenzione al tema della disinformazione, utilizzata oggi dalla Russia come un’arma nel quadro della guerra in applicazione alla “dottrina Gerasimov” ma anche dal Partito Comunista Cinese sulla scorta degli input di Xi Jinping.
Su questi aspetti, servirà nettezza e assenza di ambiguità in casa nostra. Servirà lo spirito che, esattamente 78 anni fa come oggi, animò Charles De Gaulle da Radio Londra, senza ambiguità e senza incertezze. Se il nostro spirito sarà proporzionato ai valori che ambiamo a rappresentare, la libertà in Occidente continuerà ad essere il faro attorno al quale costruire equità e giustizia.