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Perché la legge sul salario minimo non serve. La versione di Sacconi

Colloquio con l’ex ministro del Lavoro e già presidente dell’omonima commissione al Senato. Dall’Europa solo un invito, nessun obbligo né morale né tanto meno formale. Il vero nemico da combattere è il lavoro povero nei servizi e nell’agricoltura, dove occorre investire per aumentare efficienza e produttività. E comunque l’attuale contrattazione già tutela a dovere il lavoro dipendente. Confindustria? Ha ragione…

L’Europa ha trovato l’intesa, tutta politica, sul salario minimo. Ma non è tempo di colpi di mano in materia, magari sotto forma di legge nazionale. E poi, mette subito in chiaro a Formiche.net Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro nel governo Berlusconi IV e già presidente dell’omonima commissione al Senato, l’Ue non imporrà un bel niente. Quella approvata, la notte di due giorni fa, è solo una direttiva che invita i Paesi membri ad affrontare il tema dell’adeguamento dei salari, anche, ma non solo, per contrastare la peggiore ondata inflattiva degli ultimi decenni.

Sacconi prende subito la questione di petto. “Chiariamo un punto, la direttiva Ue invita i Paesi a garantire un salario minimo dignitoso con la contrattazione o la legge. Sgombriamo dunque il campo da qualunque obbligo formale di stampo europeo, nemmeno morale, per una legge. Quello che ci viene, giustamente, chiesto è di occuparci del lavoro povero. E allora il discorso cambia”, spiega l’ex ministro.

“Il lavoro povero è di quelli che lavorano poche ore e che, conseguentemente, guadagnano poco. O che appartengono all’universo del sommerso. O che, collaboratori autonomi occasionali oppure a partita Iva, sono privi di tutela contrattuale. I settori nei quali questi problemi si manifestano sono essenzialmente l’agricoltura e i servizi, mentre possiamo affermare che la manifattura è al riparo dalla criticità dei minimi ma conosce un andamento troppo moderato delle retribuzioni”.

Per Sacconi, dunque, l’attenzione della classe dirigente va concentrata “non tanto sui contratti pirata, chiamiamoli anche fantasma perché non arrivano all’1% dei lavoratori”, ma su agricoltura e servizi. “La manifattura ha altri problemi, per esempio la mancata crescita dei salari per ragioni di produttività e crescita delle competenze. E lì l’unico modo è di uscire dall’egualitarismo centralistico e di promuovere la contrattazione aziendale e territoriale “.

L’ex ministro e presidente della Commissione Lavoro, che ha avuto come stretto collaboratore il giuslavorista Marco Biagi, ucciso nel 2002 dalla Brigate Rosse, sposa dunque la tesi della Confindustria, secondo la quale più che di salario minimo, per agganciare gli stipendi al costo della vita occorre puntare sull’aumento della produttività e proprio sulla contrattazione di prossimità, riducendo il cuneo fiscale a carico dei lavoratori.

“Credo che in questo senso occorrerebbe ripartire dalla norma del 2008, con una tassazione semplice, secca, agevolata, di tutti gli incrementi dei salari aziendali per produttività, professionalità, scomodità (il decreto legge 27 maggio 2008, n. 93, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione degli straordinarindr)”.

Una cosa è certa, non serve una legge sul salario minimo, di qualunque settore si discuta. “Le leggi in materia di lavoro sono sempre pericolose. Il problema è il lavoro regolare in concorrenza con quello irregolare. Nell’agricoltura produttività ed efficienza sono ancora su livelli bassi, mentre il comparto dei servizi è diffusamente fragile, colpito peraltro anche dalla pandemia, basti pensare ai pubblici esercizi rimasti chiusi. Credo che ci sia bisogno di investire in modernizzazione”. Ma non basta. La contrattazione può ulteriormente evolvere, ad esempio rafforzando il controllo sociale su questi mercati del lavoro fragili attraverso enti bilaterali territoriali dedicati al collocamento, alla formazione, alla stessa vigilanza sulle buste paga.

“No quindi alla legge. La stessa giurisprudenza afferma un principio: se una categoria non ha un contratto nazionale di riferimento, allora occorre rifarsi a quello più prossimo. Questo per dire che il lavoro subordinato, dipendente, è totalmente tutelato dalla contrattazione collettiva. Sarebbe peraltro pericolosa la pretesa di disciplinare con legge la rappresentatività perché porterebbe nella dimensione pubblica il sistema delle relazioni collettive di lavoro che deve rimanere libero e plurale”.

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