Skip to main content

Passi avanti sullo Yemen anche senza nucleare iraniano

Houthi e sauditi si parlano mentre il Jcpoa resta bloccato. Alcuni dossier regionali evolvono nonostante non si trovi una quadra per il programma nucleare iraniano

L’Arabia Saudita e il movimento yemenita Houthi — che sette anni fa ha rovesciato il governo di Sanaa e prodotto l’ingresso in guerra di Riad — hanno ripreso i colloqui diretti per discutere della sicurezza lungo il confine del regno e delle future relazioni nell’ambito di un accordo di pace con lo Yemen.

È uno degli elementi di stabilizzazione regionale più complessi, perché la guerra civile lungo la base meridionale della Penisola Araba ha un principale risvolto internazionale: è combattuta anche come conflitto per procura contro Riad dai Pasdaran, che forniscono agli Houthi assistenza e tecnologia militare con cui colpire il regno.

La coalizione anti-Houthi a guida saudita accusa l’Iran di armare e finanziare il movimento, che si è trasformato da milizia sgangherata a una forza consolidata nel corso della guerra. Sia Teheran che il gruppo negano l’accusa, ma è innegabile che quanto meno la componentistica di droni e missili che in questi anni hanno colpito Riad e Abu Dhabi sia di fabbricazione iraniana.

Nell’ambito del dialogo intra-regionale di questa fase storica, Houthi — che hanno un’agenda personale, che gli iraniani stressano sulle coincidenze di interessi contro Riad — e sauditi hanno ricominciato a parlarsi. I negoziati, finora sporadici, tra le due parti sono ripresi, facilitati dall’Oman, il mese scorso. Poi c’è stato il rinnovo programmato di una tregua mediata dalle Nazioni Unite, che è stata prorogata di altri due mesi il 2 giugno.

La ripresa dei colloqui è un segno positivo degli sforzi delle Nazioni Unite, rappresentate dall’inviato speciale Hans Grundberg, e degli Stati Uniti per trovare una soluzione politica al conflitto che ha ucciso decine di migliaia di persone e spinto lo Yemen sull’orlo della carestia. Inoltre, è un fattore di soddisfazione che accompagna, anche dal punto di vista narrativo, l’arrivo di Joe Biden in Medio Oriente (direzione Jeddah, Gerusalemme) a metà luglio.

L’Arabia Saudita è stata sottoposta a pressioni da Washington e da altri alleati occidentali per porre fine alla guerra, nella quale Mohammed bin Salman, principe ereditario e factotum del regno, aveva posto le basi per una cooperazione regionale che avrebbe potuto/dovuto fare da avvio a una sorta di alleanza militare e non solo anti-Iran (le fondamenta del concetto di “Nato araba”).

I risultati non sono stati eccezionali, i sauditi si sono trovati a combattere gli Houthi quasi da soli, e nonostante la tecnologia superiore hanno dimostrato limitate capacità operative. I principali alleati, gli Emirati Arabi Uniti, sul dossier bellico hanno sempre avuto una propria agenda e interessi diretti in Yemen che li hanno portati a decisioni indipendenti.

Come accennato, la guerra in Yemen si intreccia da sempre col tema Iran. L’avvio dei colloqui tra sauditi e Houthi coincide con il tentativo di nuovi contatti diplomatici tra Riad e Teheran. E con lo sforzo per ricomporre il Jcpoa, l’accordo sul congelamento del programma nucleare iraniano che è stato firmato a luglio 2015 — e non è un caso se l’inizio dell’intervento Saudita in Yemen risale al marzo dello stesso anno.

Nei giorni scorsi i top negoziatori di Iran e Stati Uniti, coadiuvati dall’alto funzionario europeo Enrique Mora, che da mesi si occupa di dirigere la staffetta diplomatica, si sono incontrati a Doha. Il round negoziale qatarino, rilanciato dopo una visita del capo della politica estera Ue, Josep Borrell, a Teheran, si è concluso senza progressi.

“A Doha, come in precedenza, l’Iran ha sollevato questioni del tutto estranee al Jcpoa e, a quanto pare, non è pronto a prendere una decisione fondamentale sulla volontà di rivitalizzare l’accordo o di seppellirlo”, ha dichiarato un funzionario del dipartimento di Stato ad al Arabiya.

Uno dei principali punti critici degli ultimi mesi è la revoca della designazione terroristica al Sepâh, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniana. Questo passaggio sui Pasdaran metterebbe Washington in grande difficoltà anche con gli alleati regionali: Israele e Arabia Saudita, che hanno sempre accettato il Jcpoa come una forzatura, subiscono le azioni dei Guardiani in quanto sono considerati i fornitori di armamenti alle milizie proxy collegate come la libanese Hezbollah e come appunto gli Houthi. I progressi sullo Yemen dimostrano tuttavia che alcuni dossier sono affrontabili (positivamente) in modo indipendente dal Jcpoa. 



×

Iscriviti alla newsletter