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La scissione Di Maio e il marchio anti-atlantico sul contismo

Con l’uscita di Di Maio e dell’area riscoperta moderata e atlantista del Movimento, Conte può provare ad avere un futuro alle urne. Sarà però difficile liberarsi dall’immagine del leader schierato contro la Nato che al palazzo italiano (ed europeo) piace poco

Battesimo o estrema unzione? Non è chiaro se dalla scissione del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio darà vita a un nuovo partito. Probabile però che metta un macigno su quel che rimane del partito vecchio e su chi ne fa le veci, Giuseppe Conte.

Il nodo politico c’è: con la fuoriuscita del drappello parlamentare dimaiano, deciso a formare un nuovo gruppo, il Movimento incassa un colpo quasi letale. Dentro al Parlamento conterà di meno, fuori anche. Liberatosi dell’area moderata (o presunta tale), Conte potrà cercare di ritrovare terreno in campagna elettorale rispolverando un Movimento di piazza, antagonista, antisistema, dopo dieci anni di passeggiate dentro il sistema.

Qualche voto arriverà, magari recuperando alla causa l’ala di Alessandro Di Battista, che su Instagram commenta in modo acido la nascita di Insieme per il futuro, e degli altri usciti in protesta per la linea governista abbracciata dai vecchi compagni di viaggio. Difficile che basti ad arrestare l’emorragia elettorale fotografata oggi nei sondaggi e destinata ad aumentare con l’esodo di Di Maio&Co. O ancora che non abbia ripercussioni sul sospirato “campo largo” con il Pd di Enrico Letta già ampiamente sconfessato dalle ultime amministrative e ora sempre più stretto.

Non sono però le urne a dover preoccupare l’attuale capo – spettatore inerme di un’implosione che non ha saputo o voluto evitare – quanto semmai il framing mediatico e politico che consegnerà alle cronache la scissione di Di Maio. Un divorzio, si racconta in questi giorni, nato sul crinale della politica estera, in dissenso con la linea Conte che dubita sull’invio di armi alla resistenza ucraina e immagina un’Italia legata alla Nato da un’appartenenza nominale ma non sostanziale.

È lecito dubitare che siano queste le vere ragioni di una rottura nell’aria da molto tempo. Resta il fatto che cercando lo scontro frontale con Di Maio, cannoneggiato da buona parte della direzione a Cinque Stelle negli ultimi giorni dopo le critiche ai tentennamenti ucraini, l’ex premier si è infilato in un cul-de-sac. In Italia e soprattutto all’estero la scissione pentastellata passerà per una linea Maginot nel Movimento.

Da una parte l’anima atlantista, europeista, convinta (o convertita all’idea) che l’Italia debba rimanere sui binari tradizionali della sua politica estera, tanto più nel bel mezzo di una crisi mondiale e con una guerra di aggressione russa alle porte d’Europa. Dall’altra l’anima terzista dei non allineati capeggiati da Conte, che un giorno promettono fedeltà alla Nato e il giorno dopo promettono di non inviare più un solo fucile alla resistenza ucraina.

Il tempo dirà quale delle due avrà un futuro, dentro e fuori il palazzo. Ma la storia della politica italiana, recente e remota, non manca di offrire qualche indizio. Con la notevole eccezione dell’esperimento gialloverde, il palazzo non apre volentieri le porte a chi vuole condurre il treno-Italia fuori da quei binari.

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