Il fallimento dei referendum e i risultati delle amministrative hanno innescato tutta una serie di movimenti tellurici all’interno delle forze politiche in grado di imprimere, come evidenzia l’analisi di Gianfranco D’Anna, notevoli cambiamenti di scenari e prospettive
È un remixing, un rimescolamento di scenari e prospettive, appena iniziato, ma che evidenzia notevoli spunti psicologici quello del the day after delle amministrative e del naufragio dei referendum per forze politiche.
Spiccano le reazioni dei leader: Matteo Salvini in affanno che gesticola posticipando alle politiche, con un salto logico nel vuoto come un trapezista senza rete, la scelta della leadership del centrodestra appena sbattutagli in faccia dagli elettori; Giuseppe Conte che intreccia termini aulici e concetti terra terra per dire che per i 5 Stelle il “risultato non è soddisfacente…” come se fosse stato chiamato a far parte della commissione esaminatrice degli elettori; Silvio Berlusconi che autocelebra la resurrezione politica; Carlo Calenda che scommette sul futuro di un’alleanza progressista; Enrico Letta che sottolinea come il Pd sia percentualmente il primo partito, ma sublima la frana della Sicilia e la vincitrice senza se e senza ma delle amministrative, Giorgia Meloni che fa sfoggio di saggia pacatezza e si proietta già alla decisiva battaglia delle politiche del 2023.
Complessivamente, in attesa della rifinitura dei ballottaggi, i dati che emergono dal voto e soprattutto dall’astensione del 45,3% di domenica, quasi un elettore su due, delineano l’accelerazione di tutta una serie di scenari che riguardano tanto le forze politiche quanto i leader dei partiti.
Preoccupante il dato dell’astensionismo, perché oltre a penalizzare le scelte delle istituzioni di base, come i comuni, denota un profondo malessere civile ed incide sul processo democratico dell’alternanza e del confronto politico.
Sul versante degli schieramenti le amministrative potrebbero rappresentare un vero e proprio reset, a cominciare dal Movimento dei 5 Stelle che a meno di una rivitalizzazione della quale non si intravedono ideali, motivazioni e soprattutto protagonisti, a meno di un accanimento terapeutico, sono destinati alla eutanasia politica.
Per scongiurare alle politiche quello che ormai, parafrasando i parametri assicurativi, viene definito il “rischio Salvini”, un altro reset si impone alla Lega. Soft o meno, il ricambio dovrebbe maturare fra l’estate e l’autunno, in concomitanza con la svolta riformista che sarà sollecitata dal Governo Draghi per non vanificare le vitali risorse per il Paese del piano di assistenza e di rilancio dell’Europa.
Nel centro destra la prospettiva di Giorgia Meloni quale prima Premier donna, e la certezza di tornare stabilmente al governo da soli, sta mettendo le ali ad un intero schieramento comprendente leghisti e seguaci di Forza Italia. A via Bellerio e nell’entourage di Berlusconi sono già decollate le autocandidature ministeriali, a cominciare dai dicasteri più importanti: Difesa, Interno, Esteri, Economia…
Più complessa e delicata la gestazione di uno schieramento progressista in grado di bilanciare la notevole spinta elettorale evidenziata dalla leader di Fratelli d’Italia e dal centrodestra.
Come la fortezza Bastiani, arroccata su se stessa, da solo il Pd di Enrico Letta – data per scontata l’evaporazione dei grillini – non riuscirebbe ad ambire alla maggioranza parlamentare. Essenziale dunque l’apporto dell’area centrista, con tutte le varianti che si intravedono. Da Azione di Calenda alla sinistra di Più Europa, Articolo1 e Sinistra italiana. Ma dato che in politica il mai non esiste, dietro le quinte starebbe per lievitare un nuovo schieramento che nonostante appunto i “mai” di Mario Draghi potrebbe rifarsi al premier e corroborare la maggioranza, con l’incidenza probabilmente decisiva del consenso degli elettori sulla base della credibilità e dei riscontri della governabilità assicurata dal Presidente del Consiglio. Negli ambienti parlamentari coesistono due scuole di pensiero: la prima esclude una discesa in campo di Draghi, la seconda prefigura un alto e saggio intervento per convincerlo a non abbandonare la guida del Paese nel momento più delicato e difficile della convergente crisi economica e post bellica. La marcia in più del Governo delle carte in regola è una delle poche cose che sul piano internazionale, assieme all’arte, alla cucina e alla moda, invidiano all’Italia.