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Sicurezza, formazione, Pmi. Come stare vicino all’Africa secondo Usa e Italia

Sicurezza e sviluppo del capitale umano. I piani di Stati Uniti e Italia si incrociano sull’Africa, continente con enormi potenzialità complicate dalla diffusione dei gruppi armati (molti jihadisti), dalle penetrazioni velenose che riguardano lo scontro tra potenze e dagli effetti delle crisi globali (dalla guerra russa in Ucraina al cambiamento climatico)

La sottosegretario di Stato statunitense per gli Affari politici, Victoria Nuland, passerà i prossimi sei giorni in Africa, tra Gibuti, Mozambico e Nigeria. Si tratta di una visita che, sebbene segua un quadro di contatti abbastanza routinario, in questa fase è mossa da necessità eccezionali, quasi emergenziali, legati certamente alle possibili ricadute del conflitto russo in Ucraina, ma anche a una serie di fragilità strutturali che pervadono svariate realtà africane, a un’attenzione via via crescente alle dinamiche del continente, a una necessità di riscoprire vie di partnership con quei Paesi.

A Gibuti, il sottosegretario Nuland e un team interagenzie incontreranno le controparti governative per promuovere le relazioni tra gli Stati Uniti e il Paese del Corno d’Africa che rappresenta un punto nodale per la presenza americana nella regione. Gibuti ospita Camp Lemonnier, una base aereo-navale statunitense posta in un ambito geostrategico di rilievo, lungo i chokepoints del Mar Rosso (corridoio talassocratico che collega Mediterraneo e Indo Pacifico), a contatto con altre potenze alleate e non (l’istmo che buca il Golfo di Tagiura ospita da un lato la base Usa e dall’altro la prima postazione extra territoriale cinese). Base cruciale inoltre per alcune operazioni antiterrorismo.

In Mozambico, secondo quando comunica il dipartimento di Stato, Nuland e il suo team incontreranno membri del governo e della società civile per discutere “l’intera gamma di questioni bilaterali e regionali, comprese le opportunità di promuovere la stabilità e la ripresa economica nelle aree colpite dal conflitto […] nell’ambito della strategia statunitense per prevenire i conflitti e promuovere la stabilità”. Il Mozambico è un Paese difficile: nel 2019, per risolvere il conflitto nella regione di Cabo Delgado – dove è presente un gruppo jihadista affiliato allo Stato islamico – il presidente Filipe Nyusi cercò contractor privati.

I primi contratti se li aggiudicò il Wagner Group russo (che secondo diverse ricostruzioni è un’arma di influenza ibrida del Cremlino), che si acquartierò all’aeroporto di Nacala a settembre di quell’anno. Ma i risultati non furono quelli sperati. Liti con le forze locali avevano creato problemi operativi, culminati con la morte di 7 russi. Situazione che portò la Wagner a lasciare il Paese, dove nel 2019 Washington inviò una manciata di Berretti Verdi in funzione antiterrorismo e formazione delle unità mozambicane.

Senza sicurezza, è difficile pensare a una qualche forma di ripresa economica per il Mozambico, nonostante sia inserito nei piani di collaborazione che alcune nazioni europee – come l’Italia – prevedono per lo sganciamento dalle forniture energetiche russe (resosi necessario dopo l’aggressione all’Ucraina). Discorso simile vale per la Nigeria, una delle più strutturate economie africane, pervasa da violenze collegate alla crescente organizzazione di gruppi baghdadisti – gli stessi che hanno portato sangue sull’altare della San Francesco Saverio a Owo, nello Stato di Ondo, il giorno di Pentecoste. Nuland incontrerà rappresentanti del governo e della società civile per discutere la sicurezza regionale, ma anche un percorso per elezioni libere ed eque e temi legati all’innovazione commerciale.

Durante il viaggio, il Sottosegretario metterà in evidenza l’importante lavoro che gli Stati Uniti stanno svolgendo con i partner africani e internazionali per sostenere la sicurezza alimentare e i sistemi sanitari globali, dice Foggy Bottom. È la fotografia del complicato contesto africano. Da una parte diversi Paesi hanno bisogno di assistenza nel campo della sicurezza, perché da soli non riescono a contenere l’avanzata di gruppi armati (molti dei quali affiliati all’Is, altri qaedisti, tutti con fitti reti di penetrazioni e interessi piuttosto haram). Dall’altra, gli Stati Uniti come l’Unione Europea devono necessariamente muoversi per fornire anche altri generi di supporto, dialogando con gli Stati africani come attori evoluti, in grado di cavalcare i processi di sviluppo, ma bisognosi di varie forme di cooperazione. Soprattutto in questa fase storica.

“Siamo profondamente preoccupati – ha detto Marina Sereni, vice ministro degli Esteri italiana, inaugurando la XXI edizione dell’AU-OECD International Economic Forum on Africa – per l’impatto negativo della guerra in Ucraina sulla sicurezza alimentare in Africa, continente che importa grandi quantità di derrate alimentari da Russia e Ucraina”.

È grazie a una iniziativa della presidenza italiana che è stata lanciata la proposta di avviare un nuovo dialogo tra l‘OCSE e l’Unione Africana durante la ministeriale dei giorni scorsi, con l’obiettivo di preservare la sicurezza alimentare, combattere le penetrazioni terroristiche, controllare il cambiamento climatico, spingere lo sviluppo del settore privato e rafforzare le opportunità per le generazioni più giovani. Nell’idea della Farnesina c’è di combinare le misure di emergenza con interventi strutturali, come per esempio quelli mirati a rafforzare l’agricoltura africana – che rappresenta ancora una componente significativa dell’economia del continente, rendendola più efficiente e sostenibile sul piano ambientale e integrando lo sviluppo rurale con l’accesso all’energia e il potenziamento dei servizi sanitari.

Il capitale umano e le capacità imprenditoriali che l’Africa (detto con una semplificazione, date le enormi diversità all’interno del continente) è in grado di esprimere hanno limiti oggettivi legati alla generale insicurezza. Ma se fornire supporto al capacity building delle varie forze armate è fondamentale per creare un ecosistema prospero, altrettanto è necessario l’accesso a istruzione di qualità, formazione professionale e trasferimento tecnologico sono elementi essenziali per raggiungere obiettivi di crescita possibili. In questo, secondo Sereni, “l’Italia, proprio per la struttura del suo tessuto produttivo e le politiche economiche inclusive che ha sviluppato nei decenni a favore delle piccole e medie imprese, può legittimamente aspirare a porsi come modello per l’Africa”.

(In foto: Marina Sereni, viceministro degli Esteri, alla ministeriale Ocse di Parigi con Macky Sall e Monique Nsanzaganwa dell’Unione Africana – Dal profilo Twitter di Marina Sereni) 



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