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Contro i rischi di stagflazione non basta il Pnrr. L’intervento di Paganetto

Durante l’ultimo incontro del Gruppo dei 20, il prof. Paganetto ha sottolineato il fatto che il contrasto al rischio di recessione non è, come dovrebbe, al centro dell’attenzione, perché la concentrazione del governo è tutta sull’emergenza energetica. Ma se l’Unione Europea non ha una politica energetica comune e il Green deal rallenta per riaccendere le centrali a carbone, non avere obiettivi chiari può aggravare la crisi

Sono crescenti i rischi di stagflazione in Europa e negli Stati Uniti. L’inflazione si è consolidata. Le Banche centrali, sia pure con ritardo, stanno intervenendo per contenerne gli effetti. Le decisioni restrittive prese dalla Bce e della Fed in materia di politica monetaria e tassi di interesse arrivano, a seguito del tardivo riconoscimento della natura strutturale dell’inflazione in atto. Nel caso della Bce l’annuncio dell’intenzione di introdurre un non meglio definito scudo antispread ha aggiunto ulteriori elementi di incertezza.

Le politiche da adottare per contrastare il rischio di recessione non sono, come dovrebbe essere, al centro dell’attenzione, anche se è comprensibile la concentrazione sull’emergenza energetica.

Tuttavia negli Usa, tutti gli indicatori sembrano segnalare che sta per finire il lungo ciclo di crescita, più che decennale, alimentato dalla politica espansionistica della Fed.

L’Europa, ma soprattutto l’area dell’euro, ha sperimentato un ciclo in cui una crescita modesta si è associata a fasi di stagnazione (dopo la crisi dei sub prime) e di vera recessione (nel periodo pandemico).

In presenza del nuovo shock, quello della guerra in Ucraina, avvenuto nel momento in cui cominciavano a manifestarsi gli effetti positivi del NextGenEu e dell’abbandono della politica di austerità, neppure il forte rallentamento atteso nella crescita sembra spingere verso una politica di contrasto dei rischi di recessione.

Allo stesso tempo l’aumento del prezzo dell’energia mentre produce una formidabile spinta alla transizione energetica crea un problema di sostenibilità per famiglie e imprese che si risolve in un difficile equilibrio tra spesa ed equilibrio di bilancio.

È evidente la preoccupazione delle Banche centrali di contrastare l’inflazione. È assai meno evidente la volontà delle autorità europee di tener conto degli effetti sui bilanci pubblici della crisi energetica e dei rischi di recessione che pure sono evidenti, non solo per la intricata questione dell’energia, ma anche per le modifiche del quadro competitivo internazionale per via dell’accorciamento delle catene del valore in un quadro di parziale deglobalizzazione. .

Un aspetto importante che si è manifestato riguardo la guerra in Ucraina è lo schieramento dei paesi emergenti, simbolicamente rappresentato dal loro voto di astensione all’Onu.

Oggi i possessori di gas e petrolio ma anche di materie prime rare, in particolare i Brics, sono parte di una rete di accordi commerciali e finanziari – inesistente negli anni ’70 – che determina una realtà multipolare con un potere politico e di mercato assai accresciuto rispetto al passato.

Ed è anche chiaro che le scelte russe in materia di energia ci propongono uno scenario solo per un verso simile rispetto a quello del 1973 con l’embargo del petrolio da parte dei paesi produttori dopo la guerra del Kippur. È per questi motivi che si deve tornare a scelte di fondo come quelle che furono prese dai fondatori di Ceca ed Euratom. Non ci può essere autonomia per l’Europa se non c’è indipendenza energetica.

La decisione del Parlamento Europeo di fissare al 2035 il termine per l’utilizzo di motori a combustione interna, pur avendo acceso, comprensibilmente, nel nostro Paese (e non solo) una forte reazione sulle sue conseguenze a breve per l’occupazione e la competitività del settore dell’automotive porta con sé, nel lungo periodo, una forte capacità di trascinare innovazione e investimenti green.

In tutto questo, per il nostro Paese, il Pnrr rimane essenziale ma deve essere accompagnato da una politica economica che indichi, in maniera chiara, a livello di policy nazionale ed europea, la rotta per i prossimi 2-3 anni.

Il Pnrr, nato nel post pandemia a seguito del NextGenEu, associa Stato e mercato nella spesa per investimenti in una logica di piano con cui si intende sostenere la domanda mettendo in campo “buoni investimenti”. Ad essa va aggiunta una spinta dal lato dell’offerta, realizzata con le risorse di bilancio e di quelle del RepowerEu, con investimenti capaci di dare una spinta a produttività totale e sviluppo. è importante anche in questo caso l’uso della logica della programmazione. Va detto, peraltro, che nel Pnrr non è facile rintracciare il modello che ispira e dà unità ai progetti delle 6 missioni del Piano.

E ciò è importante, in particolare per le scelte di Green Deal, rispetto alle quali il Pnrr pur destinando abbondanti risorse (più di 59 miliardi), ne destina circa 10 per sviluppo delle rinnovabili e infrastrutture di rete insieme a 2 miliardi circa per l’economia circolare. Il Ministro Cingolani ha affermato che intende realizzare in 9 anni impianti di rinnovabili per 70 Gigawatt che si confrontano con 120 Gigawatt di elettrico installati per l’insieme delle fonti e con i circa 300 Terawatt/h di consumo elettrico complessivo.

Il Pnrr non traccia, peraltro, comprensibilmente, il quadro dei tempi e delle modalità della transizione energetica che è il vero tema da affrontare oggi.

L’Unione Europea non ha ancora espresso una proposta che indichi l’intenzione di arrivare ad un mercato unico dell’energia. Tutto questo mentre appare sempre più chiaro che l’origine dell’inflazione in Europa è ampiamente legata alle scelte di razionamento del gas da parte della Russia che nascono ben prima della guerra in Ucraina e che determinano ancor più oggi, dopo il taglio del 50% a Germania e Italia incertezza e aumento del prezzo del gas. A ciò contribuisce la borsa Ice-Ttf di Amsterdam che è fondata su pochi operatori e oscillazioni legate al breve periodo. È anche per questo che l’ipotesi di tetto al prezzo del gas del Presidente Draghi non appare di facile realizzazione, visto che limiterebbe la libertà di azione della Borsa.

Questo contesto spiega perché non vengono definiti i tempi e i modi di attuazione della transizione verde, che sarebbe essenziale decidere anche se è comprensibile la concentrazione degli interventi sull’emergenza con azioni dirette alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento per limitare il dominio dell’offerta russa.

La questione è che la prevalenza dell’emergenza sui tempi e i modi di attuazione della transizione verde vede il ritorno in campo del carbone nel momento in cui la crisi idrica, d’attualità in questi giorni, riduce il potenziale di produzione di energia prodotta da fonti idroelettriche. Non solo. Ma bisogna continuare a considerare il Green Deal come un progetto capace – ad un tempo – sia di dare risposta alle esigenze climatiche e ambientali del Pianeta e, come ci ricorda di continuo l’Iea, come il progetto che può procurare un salto decisivo nello sviluppo, attraverso l’innovazione che porta con sé.



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